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Nuovi Modelli Organizzativi a favore dei cittadini: il punto di vista della UIL Fpl.

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Nuovi Modelli Organizzativi a favore dei cittadini: il punto di vista della UIL Fpl.

Ecco la relazione di Paolo Palmarini, segretario regionale Uil-Fpl Emilia Romagna

Qual’è il ruolo delle Professioni Sanitarie (Infermieri, Infermieri Pediatrici, Ostetriche, Tecnici Sanitari, Professionisti socio-sanitari) nell’ambito dell’organizzazione dell’assistenza nelle aziende e negli ospedali pubblici e privati italiani? E’ la domanda a cui ha provato a rispondere Paolo Palmarini, segretario regionale della UIL Fpl, durante la sua relazione al convegno bolognese sul tema “Nuovi modelli organizzativi a favore dei cittadini“.

Palmarini ha illustrato la sua lunga relazione in presenza della presidente della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI), Barbara Mangiacavalli, dell’assessore regionale alla salute Sergio Venturi e di vari dirigenti medici, infermieristici e delle professioni sanitarie e tecnico-sanitarie.

Vediamo assieme cosa ha detto alla vasta platea presente l’11 febbraio 2019 presso l’Aula Magna dell’Ospedale Maggiore di Bologna.

NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI A FAVORE DEI CITTADINI: RUOLO E VALORIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI SANITARIE

di Paolo Palmarini – Segretario UIL Fpl Emilia Romagna

Ancor prima di entrare nel merito degli oggetti del Convegno di oggi mi preme ringraziare tutti i presenti e tutti i nostri gentili ospiti, il Direttore Generale dell’Ausl diBologna Chiara Gibertoni, il presidente della CTSS dell’Area Metropolitana di Bologna Giuliano Barigazzi, i Direttori dei Servizi Tecnici ed Infermieristici dell’Ausl di Bologna e dell’Ausl della Romagna – Giuseppe Grassi Pirrone e Silvia Mambelli, la Presidente del neo ordine delle professioni sanitarie di Bologna – Rossella Trenti, la Presidente Nazionale dell’ordine degli infermieri – Barbara Mangiacavalli, l’Assessore Regionale alle politiche per la salute – Sergio Venturi e il nostro Segretario Generale della UIL Emilia Romagna e Bologna – Giuliano Zignani.

E’ altresì sentito da parte mia e tutta la UIL FPL dell’Emilia Romagna e Bologna un ringraziamento ai nostri delegati e nostri quadri sindacali che con il loro impegno hannogarantito la migliore organizzazione di questo convegno che intende porre all’attenzionedei nostri interlocutori diverse proposte, raccogliendo altresì, da chi ha responsabilità politiche e gestionali, piuttosto che in termini di rappresentanza professionale, quel patrimonio di conoscenze e sensibilità essenziali affinchè la UIL FPL e la UIL possano tradurle in proposte sempre più rispondenti alle esigenze e alle aspettative dei professionisti e dei cittadini.

Abbiamo pensato di organizzare a Bologna questa iniziativa non solo e non tanto per quanto Bologna rappresenta nel contesto sanitario della nostra Regione, dell’intero Paese e a livello internazionale, quanto perché proprio a Bologna non tutti gli attori che oggi possono sostenere ed alimentare nuovi modelli organizzativi, sempre più rispondenti alle esigenze delle collettività, sembrano orientati ad una visione innovativa.

La discussione che si è sviluppata, proprio qui a Bologna, sul personale infermieristiconel contesto dell’emergenza territoriale ne è un esempio sufficientemente chiaro.

Si è arrivati al punto che un ordine professionale radia un proprio professionista intento ad esercitare una attività istituzionale e non certo professionale, invadendo un campo, quello della programmazione che è proprio della responsabilità politica di chi governa e per la quale solo ed esclusivamente i cittadini sono legittimati, nelle forme previste da uno Stato democratico, a giudicare.

Lascio a chi è certamente più ferrato di me in materia ricordare, la dove oggi ve ne fosse ancora bisogno, qual è stato lo sviluppo dei percorsi formativi delle attuali professionisanitarie nonché le norme che hanno sostenuto l’autonomia professionale di infermieri,ostetriche, tecnici sanitari, della riabilitazione piuttosto che della prevenzione…e qualisiano ad oggi le responsabilità di questi professionisti.

Emblematico è, ad esempio, il rischio attribuito alle ostetriche da parte delle compagnie assicurative, equiparabile a quello del ginecologo piuttosto che dell’anestesista, sapendo che a parità di potenzialità di rischio si è ancora al cospetto di una evidente disparità economica, di possibilità di carriera e di ruolo nei contesti organizzativi.

La nostra volontà è scevra da ogni logica di contrapposizione tra professionisti, non è semplicemente quella di sostenere la legittima aspettativa di valorizzazione di tutte le professioni sanitarie esclusivamente sulla base dell’evoluzione dei percorsi di studi, quanto quella di investire le nostre forze nei contesti di concertazione con le Conferenze Socio Sanitarie Territoriali e di confronto contrattuale con le Aziende Sanitarie dimostrando che le professioni sanitarie sono oggi essenziali per organizzare i servizi con nuovi modelli dove il ruolo e l’apporto di infermieri, tecnici sanitari, ostetriche,fisioterapisti, ecc…deve essere considerato alla pari di altre professioni.

Tanti sono i contesti nei quali le professioni sanitarie possono contribuire autonomamente o in equipe multi professionali a migliorare la qualità della vita dei cittadini, a garantire con maggiore appropriatezza risposte sui temi della prevenzione, alle condizioni di salute e di cura delle collettività locali, attraverso processi di rideterminazione dei ruoli e delle competenze tali da produrre quella sostituzione professionale capace di assicurare un migliore rendimento degli investimenti economici rispetto a quella che si osserva con modalità organizzative “tradizionali”, ancora troppo radicate e legate ad una arretrata cultura di molti dirigenti apicali.

Il tutto anche a vantaggio della qualità della spesa pubblica.

La UIL FPL e la UIL sono infatti profondamente convinte che ciò che interessa alla stragrande maggioranza degli operatori ed influenza la riuscita di importanti riorganizzazioni è la possibilità di vedere valorizzato il proprio ruolo e il proprio lavoro, ciò che preme ai cittadini per la stragrande maggioranza dei loro bisogni quotidiani è una risposta celere, la dove possibile in prossimità della propria residenza, la presa in carico delle loro problematiche e tutto ciò a prescindere dal titolo posseduto da chi il cittadino ha di fronte.

Spetta all’organizzazione determinare quegli assetti per i quali le risposte vengono garantite da chi, di volta in volta, in base alla propria conoscenza ed esperienza è ingrado di rispondere alle istanze dell’utenza, definendo percorsi scevri da ridondanze o sovrapposizioni che appesantiscono il sistema e spesso allungano i tempi di processo. Non abbiamo certo oggi la presunzione di dettagliare tutti i contesti che, adeguatamente organizzati, possono dare risposte appropriate valorizzando la presenza delle professioni sanitarie, intendiamo fare emergere alcuni ragionamenti che possano essere conduttori, agevolando così una riflessione più generale nei confronti delle Istituzioni Locali e delle nostre Aziende Sanitarie.

La UIL ha, ad esempio, sostenuto l’idea e la proposta dei Sindaci, fatta ad un recente convegno alla presenza del Presidente Mattarella, di reintrodurre l’educazione civica neicicli di studio dei nostri figli, ci è sembrata una strada corretta per accrescere la conoscenza nei confronti dei diritti di cittadinanza; dei nostri doveri ai quali corrispondo i nostri diritti.

Parallelamente ed in sinergia con l’educazione civica, considerato che la salute è un diritto costituzionalmente garantito, ma soprattutto sapendo quanto la conoscenza in termini di prevenzione sia fondamentale per migliorare lo stile di vita delle collettività, ci piacerebbe che le Istituzioni Locali potessero, insieme a noi, iniziare a ragionare sulla reintroduzione della educazione sanitaria nelle scuole, là dove, per rimanere ai contenuti della nostra riflessione odierna, le professioni sanitarie porterebbero un contributo fondamentale alla crescita culturale dei nostri figli vedendo valorizzato il proprio ruolo anche in ambito educativo.

Tornando ai tempi più squisitamente sanitari credo sia opportuno oggi focalizzarel’attenzione dei nostri interlocutori ad un altro principio fondamentale che è proprioriferito alla organizzazione dei servizi.

I contesti sociali sono per loro natura dinamici, mutano le caratteristiche e la composizione della popolazione, non sempre le nostre università leggono con il dovuto anticipo quelle che presumibilmente saranno le necessità del mondo del lavoro.

Ciò che è certo è che al cospetto di bisogni emergenti i servizi sanitari si devono adeguare alle necessità dei cittadini con la consapevolezza di risorse economiche sottostimate per un servizio sanitario che poco investe rispetto al Prodotto Interno Lordo Nazionale e sul quale, diversamente, si dovrebbe investire molto di più.

Oltre le sostenibilità economiche esistono infatti le sostenibilità sociali e queste duecomponenti vanno considerate in un’unica dimensione.

E’ da questa consapevolezza che dobbiamo affermare che non è possibile disgiungere laproduzione di ricchezza dalla promozione della socialità considerandola un freno allo sviluppo.

Da troppo tempo ci sentiamo ripetere che il nostro modello sociale e di servizi ai cittadini risente dei problemi legati alla sostenibilità economica. Sostenibilità da cui discende che ogni discussione di revisione dei vari elementi della socialità è inquinato findall’inizio dai pesanti condizionamenti dettati dalla disponibilità di risorse, a prescinderedall’aumento dei bisogni sociali.

Da qui una semplice riflessione: l’organizzazione del lavoro delle nostre AziendeSanitarie e i modelli organizzativi devono essere in grado, partendo da una programmazione istituzionale da parte delle Conferenze Socio Sanitarie Territoriali, di mettere in campo soluzioni che abbiano al centro le mutate esigenze dei singoli e delle famiglie, contraendo se necessario, tutte le spinte autoreferenziali che in modo più o meno diffuso non garantiscono la migliore qualificazione della spesa pubblica.

Negli ultimi 10 anni i dati ISTAT evidenziano una popolazione più anziana e l’aumentodelle cronicità.

Giusto per inquadrare il livello dimensionale di questa variazione, che ovviamente si accompagna a bisogni diversi dal passato, osserviamo come nel 2017 fossero circa 13.500.000 i cittadini con più di 65 anni a fronte dei circa 11.700.000 del 2007.

Sempre nel 2017 i dati ISTAT ci consegnano circa 727.000 persone con più di 90 anni e 17.000 ultracentenari a fronte rispettivamente dei 467.000 e 10.400 del 2007.

Si può quindi affermare che i bisogni di natura sanitaria, ai quali si affiancano quelli di natura sociale, vedi ad esempio il fenomeno in aumento delle case famiglie, sono oggi diversi rispetto ad allora, quindi da affrontarsi con modelli rispondenti alla realtà odierna – e se aggiungiamo a ciò una programmazione universitaria, come detto in precedenza, non sempre lungimirante e una indiscutibile accresciuta autonomia professionale delle diverse professioni sanitarie, possiamo trarre alcune riflessioni.

Demografia ed epidemiologia della popolazione impongono, a prescindere da resistenze volte alla difesa del passato, nuove politiche di investimenti organizzativi che“riformino” le vecchie modalità di erogazione dei servizi con maggiore appropriatezzaallocativa delle professionalità necessarie in rapporto alla tipologia dei bisogni.

E’ del tutto evidente che il dato demografico, se pur esemplificativo, accompagnato aduna riduzione dei “piccoli ospedali” porta a riflettere su come siano oggi mutati i bisognidei cittadini in termini di risposte sanitarie.
Trasformazioni organizzative orientate a corrispondere agli attuali bisogni, presa in carico della cronicità, carenza di medici e indiscussa crescita professionale offrono opportunità concrete alla valorizzazione delle professioni sanitarie in un contesto di necessaria ed urgente riprogettazione dell’offerta e investimenti, ad esempio, sulle cure primarie ed intermedie: assistenza domiciliare – case della salute – ambulatori infermieristici e Ospedali di Comunità.

Ampliamento delle cure primarie, attraverso le “case della salute” e delle cure intermedieattraverso gli “Ospedali di Comunità” (OSCO) sono fattori rilevanti per un modello diassistenza maggiormente coerente con i bisogni dei cittadini, a partire dalla popolazione anziana, oggi spesso costretta ad estenuanti ore attese nei Pronto Soccorso.

Su questi aspetti la stessa Regione Emilia Romagna ha fondato parte del piano socio sanitario e là dove questi modelli si sono affermati già si osservano i principali vantaggi: sono diminuiti i tassi di ospedalizzazione e gli utenti ricevono, con soddisfazione, adeguata assistenza con maggiore prossimità alla propria residenza, come si può rilevare da una delle prime esperienze di strutture integrate Casa della Salute/OSCO a Forlimpopoli.

Se poi pensiamo alle dimensioni territoriali dell’Area Metropolitana di Bologna è facile intuire come lo sviluppo di questi modelli possa tradursi in aspetti positivi sia per la popolazione anziana sia per i nuclei familiari della stessa.

La volontà politico istituzionale di investire sulla medicina di prossimità deve essere accompagnata dalla consapevolezza che sempre di più i nuovi modelli saranno fondati su risposte multi-professionali, la collaborazione tra professionisti dovrà prevalere sulle logiche di contrapposizione affinché si possano cogliere in modo equilibrato, ma soprattutto coerente ai bisogni dei cittadini, quelle aspettative di crescita di tutti i professionisti, sapendo che in alcune situazioni, contrattualmente parlando, la concertazione e la contrattazione avviene ancora su tavoli distinti, vedi medici di base, con un rischio insito di disomogeneità abbastanza elevato.

A fronte di nuovi modelli organizzativi orientati ad una maggiore appropriatezza allocativa delle professionalità necessarie, alcuni peraltro già in essere in diversi contesti della nostra Regione, si devono riportare, sui tavoli negoziali, Direzioni Generali e Regione ad una maggiore attenzione e coerenza ai principi ed ai contenuti dell’accordo confederale del 30 novembre 2016 e dell’attuale contratto nazionale di lavoro che rappresenta lo strumento per concretizzare il maggiore apporto delle professioni sanitarie nell’erogazione dei servizi alle collettività locali.

Oggi infatti il contratto di lavoro, che riteniamo rappresenti l’inizio di un nuovo percorso dopo la malsana idea dei diversi governi che si sono succeduti di imporre un blocco per fare cassa a tutto scapito della qualità del lavoro, contiene importanti aspetti.

Come rilevanti sono i contenuti dell’accordo confederale del 2016 che ha garantito la possibilità della stabilizzazione del rapporto di lavoro di migliaia di professionisti ed operatori che da tempo, a suon di rinnovi, da anni erano inseriti nei contesti lavorativi.

Materie che erano di competenza esclusiva della parte datoriale, oggi sono di nuovo strumento di partecipazione per rilanciare l’efficienza della pubblica amministrazione attraverso la contrattazione integrativa aziendale che si era estremamente ristretta attraverso un processo di legiferazione sulla materia del lavoro pubblico iniziata con la riforma Brunetta nel 2009.

Mi preme pertanto rilevare come oggi a fronte di questa importante inversione di tendenza non si debba rischiare di centralizzare il confronto a livello regionale e non si debba interpretare una materia dinamica come la contrattazione con volontà, proprie della burocrazia, che spesso limitano le possibilità di valorizzazione della qualità del lavoro e dei lavoratori.

In sostanza, una cosa è definire linee di indirizzo a livello regionale, concordare, come auspichiamo possa avvenire, che parte dei risparmi ottenuti con oculate politiche regionali si possano tradurre in risorse aggiuntive da investire sulla valorizzazione delle risorse umane, altro è pensare che una procedura informatica, come ad esempio il GRU, possa limitare o addirittura vanificare la contrattazione aziendale.

Non è una procedura che orienta la contrattazione, se mai è il contrario, vale a dire là dove le parti raggiungono una intesa che ritengono possa valorizzare un modello organizzativo, possa in sostanza portare quei risultati alla qualità e quantità di prestazioni a favore dei cittadini, sarà la procedura ad adeguarsi ai contenuti degli accordi.

A noi sembra già sufficiente l’atteggiamento ostruzionistico e centralistico dell’ARAN che con i propri pareri, del tutto unilaterali, nei fatti continua con un atteggiamento che nulla ha a che fare con i migliori canoni di relazioni sindacali che si basano sul confronto e che devono cogliere quelle specificità proprie della contrattazione di secondo livello.

Auspicando che nella nostra Regione si contengano e si limitino volontà centralistiche a favore della contrattazione aziendale, riconosciamo al Presidente Bonaccini eall’Assessore Venturi che sono stati tra i primi a cogliere le possibilità dellastabilizzazione del rapporto di lavoro attraverso un importante accordo sottoscritto a dicembre del 2017 con la UIL, la CGIL e la CISL che nel corso del 2018 ha portato i primi risultati positivi.

Il valore dell’accordo sulle stabilizzazioni è per noi della UIL una duplice conquista,quella di potere garantire stabilità del rapporto di lavoro a tantissimi giovani ma è anche quella di garantire la migliore qualità dei servizi pubblici ai cittadini, cosa che senza alcun dubbio non si ottiene con il continuo turn over imposto dalla precarietà.

Su questa strada è necessario continuare ad investire per recuperare un gap legato al blocco delle assunzioni e del turn over degli anni passati che oggi pesa sulla qualità del lavoro, i dati delle ore di lavoro straordinario o delle ferie maturate e non godute sono ancora elevati e fotografano una situazione da presidiare con attenzione.

Aggiungiamo altresì che la precarietà mal si coniuga con la valorizzazione professionale – è infatti del tutto evidente che il continuo turn over impedisce e mortifica quelle legittime aspettative di percorsi di carriera dei professionisti alle quali ogni lavoratore ambisce.

Per queste ragioni le dotazioni organiche dovranno sempre di più basarsi sul lavoro a tempo indeterminato, relegando le assunzioni a termine, o ancor peggio il lavoro a somministrazione, per esigenze del tutto temporanee.

Tornando agli aspetti contrattuali e agli strumenti che noi riteniamo debbano essere postial centro dell’attenzione nell’ambito della contrattazione integrativa per corrispondere aquelle esigenze di valorizzazione delle professioni sanitarie, che come abbiamo visto e come sicuramente approfondiranno i nostri interlocutori odierni, sono oggi essenziali per lo sviluppo di nuovi modelli organizzativi, è opportuno ricordare il tema delle indennità di funzione che rappresentano una delle novità del contratto di lavoro.

Siamo fermamente convinti che questo istituto debba essere valorizzato in modo adeguatamente diffuso, anche con il contributo della nostra Regione, in tre direttrici fondamentali tali da alimentare quelle necessità di risposte contrattuali che intercorrono tra il livello professionale di base e i vertici aziendali.

Professionista esperto e specialista nel contesto dell’area professionale di riferimento – ad esempio Wound Care sulla prevenzione e cura delle lesioni da decubito – geneticnurse per l’accertamento e la pianificazione su problematiche di tipo genetico,fisioterapisti esperti nel campo della riabilitazione respiratoria utile a facilitare il recupero autonomo della respirazione ed evitare secondarismi, tecnici della prevenzione specialisti in un campo molto caro al sindacato quale la sicurezza sul lavoro, ma di esempi ve ne sono tanti e ne vorrei avere conferma da chi dirige i servizi infermieristici e tecnici, unitamente a incarichi di organizzazione di natura mono professionale e in aree multiprofessionali devono diventare strumenti diffusi, superando il vecchio concetto delle precedenti posizioni organizzative, spesso viste e vissute come valorizzazione personale più che del contesto organizzativo, perché frequentemente legate a percorsi di attribuzione non sempre sostenuti dalla necessaria condivisione e trasparenza.

Senza essere fraintesi, noi siamo profondamente convinti che ogni forma di appiattimento non genera quelle dinamiche utili alla crescita diffusa del valore delle singole professioni ma siamo altresì persuasi che ogni percorso di attribuzione di responsabilità debba avere il dono della chiarezza e della trasparenza a partire dall’obbligo di formulazioni di graduatorie, cosa a nostro avviso normale ma che oggi normale non è considerato che in alcune Aziende non si formulano graduatorie per il conferimento dell’incarico di coordinamento.

Sul tema degli incarichi di coordinamento, oggi incarichi di organizzazione di unità operativa è opportuno anche aprire una riflessione perché non vorremmo che a fronte delle continue sollecitazioni che l’organizzazione ha riservato e riserva ai coordinatori, ai quali in continuazione vengono attribuite funzioni – anche di natura per lo più amministrativa – vi sia una distorta lettura del Contratto Nazionale di Lavoro orientata a logiche di precarietà del ruolo là dove si è in presenza di valutazioni positive.

Queste tre linee direttrici vanno pertanto affrontate con la volontà di sostenere contrattualmente le diverse rimodulazioni organizzative, rispondere alle realtà di maggiori responsabilità che oggi alcuni intendono non vedere e di dare maggiore diffusione a spazio anche alla Dirigenza delle Professioni Sanitarie.

Sia perché oggi sono ancora molte le posizioni ricoperte attraverso incarichi a tempo determinato sia perché una maggiore diffusione dei ruoli dirigenziali libera risorse nei fondi contrattuali a favore di maggiori possibilità di valorizzare gli istituti contrattuali quali gli incarichi di funzione.

Spesso infatti nei tavoli di contrattazione il limite è imposto dalle risorse disponibili nei fondi contrattuali e allora ci piacerebbe, a partire da oggi, condividere alcuni principi di prospettiva.

Ad esempio, considerato l’investimento della Regione sul versante occupazionale ciaspettiamo una sensibile diminuzione delle risorse spese per lo straordinario, in ognicaso l’accesso allo straordinario deve rappresentare una modalità per rispondere adesigenze del tutto temporanee, per altro attraverso strumenti di gestione più consoni al rispetto della vita privata di ogni professionista.

Se si intende qualificare le risorse contrattuali, cosa a nostro avviso lungimirante, eventuali necessità “ordinarie”, derivanti da dotazioni organiche insufficienti vanno prioritariamente affrontate con assunzioni a tempo indeterminato e in seconda battuta con prestazioni aggiuntive a carico dei bilanci; le risorse contrattuali non spese per straordinario vanno investite per la valorizzazione del personale.

Sempre sul tema delle risorse, come detto in precedenza, ci auguriamo di poter concordare con la nostra Regione, entro il 2019, risorse aggiuntive che riteniamo possano dare un ulteriore impulso alla diffusa e legittima aspettativa del personale, a partire dalla valorizzazione delle professioni sanitarie.

Se l’attuale contratto di lavoro apre spazi al confronto e amplia le possibilità di darerisposte alla evoluzione delle professioni e alla esperienza maturata sul campo nonabbiamo mai negato che l’attuale contratto, scaduto a dicembre 2018, per noi rappresenta un momento di transitorietà, peraltro male interpretato dall’ARAN la qualestà contravvenendo ai patti sottoscritti non avendo ancora avviato il confronto attraverso le commissioni paritetiche sulle declaratorie contrattuali.

Una risposta veramente diffusa in tema di valorizzazione nei confronti di quella che noi vogliamo definire la grande famiglia delle professioni, riteniamo possa essere costruita nel Contratto di Lavoro per il triennio 2019/2021.

Sempre nella convinzione che le buone idee e la logica alla fine, anche se con ritardo, prevalgono sulla conservazione, ci chiediamo perché un professionista infermiere, tecnico sanitario, della prevenzione, della riabilitazione, ostetrica, pur in presenza di piena e totale autonomia non possa esercitare, alla pari di altri professionisti, la propria attività libero professionale nel contesto delle strutture pubbliche.

Visti i contenuti delle diverse normative che nel tempo si sono rafforzate a sostegno dello sviluppo professionale degli esercenti le professioni sanitarie, appare infatti evidente come si stia assistendo ad una palese contraddizione e ad una evidente penalizzazione e mortificazione del ruolo di autonomia.

A partire dalla Legge 251, la continua evoluzione che ha contraddistinto i servizi sanitari e quelli alla persona, il fondamentale contributo offerto dalle professioni sanitarie per il mantenimento e la qualificazione del sistema salute, i nuovi modelli orientati alla integrazione ospedale/territorio, l’organizzazione delle strutture ospedaliere per intensità di cura, ci convincono nel ritenere sia giunto il momento di garantire a tutte le professioni sanitarie l’esercizio della libera professione autonoma, così come da tempo avviene per medici e dirigenti sanitari.

Non si può più infatti pensare che operatori, a cui vengono conferite responsabilità proprie di chi esercita in termini autonomi una professione, possano esclusivamente svolgere, in tema di libera professione, attività di supporto a professioni altrui.

Sulla necessità di superare quella che oggi appare come una evidente discriminazione chiediamo che la nostra Regione, e tutti coloro che possono contribuire a dare una svolta in questa direzione, si facciano partecipi di questa istanza con l’auspicio di poter garantire quelle legittime aspettative a completamento di un percorso che riteniamo debba trovare anche la propria definizione, così come a suo tempo avvenuta per altri professionisti, nel contratto nazionale di lavoro per il triennio 2019/2021.

Anche per questo pensiamo all’esigenza di caratterizzare nel Comparto della Sanità ladisciplina normativa e contrattuale delle professioni sanitarie, anche attraversol’istituzione di una apposita Sezione contrattuale nella quale poterne riconoscere adeguatamente le specificità rispetto ad istituti fondamentali del rapporto di lavoro, come pure poter armonizzare con altre professioni sanitarie la disciplina di istituticomuni quali, ad esempio, l’esercizio della libera professione anche attraversol’introduzione dell’indennità di esclusività del rapporto di lavoro.

Nella nostra opera rivolta al rinnovo dei Contratti Nazionali di Lavoro ed alla attenzione sui temi della valorizzazione professionale dobbiamo infine rilevare come non vi siano più scusanti e/o attenuanti nei confronti dell’AIOP e dell’ARIS rispetto al rinnovo del contratto di lavoro per i dipendenti delle strutture sanitarie accreditate, nelle quali operano decine di migliaia di professionisti ai quali vanno garantite possibilità di valorizzazione legate alle responsabilità e non alla natura del datore di lavoro.

La stragrande maggioranza di queste Aziende lavorano in nome e per conto del servizio sanitario nazionale, dove per intenderci il rischio di impresa è marginale e dove ogni prestazione, proprio perché accreditata, viene garantita dal personale dipendente come se fosse erogata in un ospedale pubblico.

Questi professionisti lavorano con un contratto nazionale scaduto da ben 14 anni che oltre a rappresentare un grave danno economico per chi presta quotidianamente la propria attività professionale non è minimamente in grado di sostenere, dal punto di vista normativo, la legittima aspettativa di valorizzazione professionale di infermieri, fisioterapisti e tecnici sanitari.

In Emilia Romagna si è tenuto uno sciopero lo scorso 28 gennaio e chiediamo, anche in questa occasione, una attenzione da parte della nostra Regione, pur sapendo che la situazione del panorama nazionale è estremamente disomogeneo, affinchè si sblocchi la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro a tutela di questi professionisti e del sistema sanitario pubblico complessivamente inteso.

Un sistema che noi intendiamo difendere, fatto di donne e uomini che oltre all’impegnoquotidiano sono i primi ad intervenire per alleviare le sofferenze dei nostri concittadini inoccasione di gravi eventi, alluvioni o terremoti, lo sanno bene i cittadini dell’EmilaRomagna duramente colpiti dal terremoto del 2012, come una dimostrazione di senso di responsabilità ed efficienza è stato dimostrato in occasione di quanto accaduto sul raccordo autostradale di Bologna nel 2018.

Ho voluto ricordare queste circostanze semplicemente per evidenziare che la valorizzazione delle professioni sanitarie, così come quella di altre professionalità, non è solo una questione contrattuale.

E’ molto di più.

E’ un atto doveroso per difendere e valorizzare un intero sistema nel quale oltre agli aspetti contrattuali sono fondamentali quei positivi sentimenti di appartenenza che fanno si che un lavoratore si senta “attore” di un progetto e non semplicemente“comparsa”.

Proprio in ragione del massimo coinvolgimento e della necessità di dare voce ai professionisti invieremo gli atti del convegno alle mail che i presenti hanno lasciato in segreteria affinché coloro che lo ritengono utile possano inviare valutazioni, idee equant’altro possa essere utile a costruire proposte sempre più vicine alle aspettative degli operatori e dei cittadini.

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