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Perché gli Infermieri sono scesi in piazza? Le motivazioni di Renato Congedo (Nursind).

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Riceviamo e pubblichiamo nota del segretario regionale del Nursind dell’Emilia Romagna, Renato Congedo, che ci spiega le motivazioni dello sciopero generale del 28 gennaio 2022 degli Infermieri Italiani.

28 gennaio 2022: gli INFERMIERI sono scesi in piazza. Le ragioni della protesta.

Non è un caso l’aver scelto di incrociare le braccia nel bel mezzo della quarta ondata COVID: da 23 mesi portano il peso e pagano le conseguenze di mancate decisioni e assenza di pianificazione.

Il Sindacato degli Infermieri NurSind denuncia da tempo una situazione che vede la categoria al collasso: il numero degli Infermieri è insufficiente e gli operatori dopo 23 mesi di pandemia continuano ad affrontare livelli di stress fisico e psicologico senza precedenti nella storia della professione, essendo i più esposti al contagio, con organici inadeguati, costretti a turni massacranti, a cambi continui della turnazione e di reparto, con ferie bloccate e riposi saltati.

Gli stipendi degli Infermieri italiani sono tra i più bassi d’Europa, gli obblighi contrattuali devono essere rispettati con stipendi adeguati e condizioni dignitose d’impiego.

Da novembre la categoria è in stato di agitazione, perchè stanchi di essere definiti eroi e di promesse mai mantenute, di segnali reali di vicinanza richiesti alle istituzioni, mai concretizzati, la mancata istituzione dell’Infermiere di famiglia ad esempio.

Per questo il Sindacato NurSind ha deciso di incrociare le braccia dopo l’allungamento dei tempi di chiusura del rinnovo contrattuale il mancato inserimento dell’emendamento alla Legge di Bilancio, che avrebbe dovuto svincolare i fondi per l’erogazione dell’indennità di specificità, ennesima beffa alla categoria.

La valorizzazione della professione, consentirebbe di migliorare anche l’assistenza ai cittadini, ai quali è stata garantita costantemente l’assistenza durante tutta la pandemia e ai quali verranno garantite le prestazioni essenziali anche durante questa protesta, per evitare disagi al cittadino.

Gli Infermieri italiani hanno scioperato il 28 gennaio per 24 ore e in Emilia Romagna manifesteranno in delegazione a Bologna, davanti al Palazzo della Regione, in Via Aldo Moro.

1. Mancato riconoscimento del valore professionale. La legge di Bilancio 2021 (governo Conte II) ha stanziato 500 milioni di euro per i medici, 335 milioni per gli infermieri e 100 milioni per gli OSS e le restanti professioni sanitarie. Per i medici le risorse sono state erogate già da gennaio 2021, per tutti gli altri l’indennità di specificità è state invece vincolata al rinnovo dei contratti. Emendamenti alla manovra 2022 miravano proprio ad anticipare, rispetto alla sottoscrizione del Ccnl, gli arretati di un anno già a partire da questo mese. Il governo Draghi (con il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta) ha ritenuto invece di non fare propri gli emendamenti segnalati sia del Movimento 5 stelle e sia di Fratelli d’Italia. Pertanto, dopo 24 mesi di lavoro in prima linea, dovremo ancora aspettarne degli altri per ricevere questo riconoscimento. Ciò che ferisce di più è l’atto di cattiveria gratuita (le risorse, come detto, erano già state stanziate dal precedente governo e nulla si sarebbe sottratto alla contrattazione): si è consapevolmente deciso di non dare neanche un piccolo segnale di attenzione al personale del comparto sanità che si sta sacrificando per salvare il Paese.

2. Basta con la retorica degli “eroi” e degli “angeli”. Ci hanno chiamati eroi e angeli perché in spregio del pericolo abbiamo resistito combattendo una malattia all’inizio sconosciuta, molto contagiosa e che ha mietuto molte vittime. Anche gli infermieri hanno pagato il loro tributo in termini di vite umane: con 90 morti e più di 135.000 contagiati (nell’ultimo mese più di 8.000), siamo la categoria di lavoratori più colpita dal virus. Abbiamo salvato malati Covid e allo stesso tempo, purtroppo, per molti di loro siamo stati le ultime persone che hanno visto prima di morire. Siamo i professionisti dell’assistenza infermieristica, non siamo dei missionari. Per fare questo lavoro non basta la buona volontà. I cittadini che vengono assistiti da noi pretendono cure qualificate ed esiti positivi, non accettano errori o complicanze fatali. Gli infermieri rispondono davanti al giudice, spesso anche perché una inefficiente organizzazione del lavoro li porta all’errore. Gli applausi e le pacche sulle spalle non aiutano le nostre famiglie ad arrivare alla fine del mese.

3. Infermieri con gli stipendi più bassi d’Europa. Gli infermieri francesi da marzo 2021 hanno percepito un aumento dello stipendio base di 183 euro. Inoltre, ai 24.000 infermieri che lavorano nelle terapie intensive sono stati dati ulteriori 100 euro. In Germania lo stipendio di un infermiere va dai 2.000 ai 2.800 euro netti al mese. In Inghilterra si parte da 2.200 euro netti mensili, ma per le figure apicali si può arrivare a 122.000 euro lordi annui, con una possibilità di carriera che rende allettante intraprendere la professione. Inoltre, proprio per l’impegno e l’abnegazione nel contrasto all’emergenza Covid è previsto un ulteriore aumento di 3.700 euro l’anno. 
L’infermiere italiano, invece, ha una retribuzione che parte dai 1.500 euro netti mensili e il riconoscimento per la lotta al Covid è di 75 euro lordi mensili. Una cifra che, appunto, vedremo in busta paga solo a contratto nazionale chiuso.

4. Condizioni di lavoro che non lasciano vivere: infermieri 24 ore su 24 e sempre in carenza. Da due anni facciamo ferie a singhiozzo, per metà dell’anno sono bloccate. Non ci siamo mai fermati se non quando ci siamo ammalati. Per noi non è mai esistito il lockdown: per mesi non abbiamo visto i nostri figli, le nostre famiglie per paura di contagiarle. Abbiamo visto la morte in faccia e abbiamo avuto paura, ma siamo andati al lavoro nonostante tutto. Lavoriamo sempre sotto organico. La carenza infermieristica, d’altronde, è ormai cronica perché la politica ha sempre preferito tagliare sulla spesa del personale, nonostante da più parti (perfino dalla Corte dei Conti) giungesse l’allarme della non sostenibilità del sistema.
 Il sistema, infatti, ha ceduto alla prima occasione di sovraccarico di richieste. E le conseguenze dei tagli sono ricadute sui cittadini e sugli infermieri a cui, ancora una volta, è stato chiesto di compensare le carenze dovute alle mancate assunzioni prima e alla penuria di infermieri nel mercato del lavoro poi. 
Un deficit di personale che, anziché ridursi con il passare degli anni, aumenta. Tutti i rapporti di diversi centri studi stimano una carenza che va dalle 80.000 alle 270.000 unità. Il raffronto con gli altri Paesi dell’Europa ci vede puntualmente sotto la media. Sempre reperibili, pronti a colmare assenze improvvise per garantire un servizio essenziale ai cittadini, sovraccaricati di lavoro straordinario non pagato, spesso demansionati, con ferie non godute, senza possibilità di carriera professionale e senza diritto alla libera professione, spesso precari (ben 23.000), gli infermieri non hanno una vita al di fuori del lavoro. La scienza è stata invocata per giustificare la limitazione di libertà costituzionali, ma non è mai stata ascoltata quando indica che al di sotto di un rapporto infermiere/paziente di 1 a 6 aumenta la mortalità. Valgono meno i morti per mancata assistenza rispetto ai morti di Covid?

5. Basta aggressioni. Le aggressioni agli infermieri e ai sanitari in generale sono spesso l’esito delle disfunzioni del sistema che non dipendono dall’operato del singolo, ma dipendono dalle risorse disponibili, dai limiti dell’organizzazione e dalle scelte gestionali. I cittadini, alle prese con tempi di attesa troppo lunghi, norme ospedaliere e problemi di salute da affrontare, finiscono per sfogare la propria rabbia sul primo sanitario in cui si imbattono che spesso è l’infermiere. Non è accettabile che ancora troppe volte diventiamo facile bersaglio di violenze verbali o fisiche da parte degli utenti. Anche in questo ambito siamo la categoria che ne subisce di più. E a livello nazionale e regionale ancora nulla è stato fatto per contenere tale fenomeno.

6. Gli infermieri se ne vanno. Piuttosto che rinunciare alla loro vita, senza avere nulla di adeguato in cambio, gli infermieri si stanno licenziando. E il trend è in forte aumento. Morale della favola: non solo è quasi impossibile reperire infermieri nel mercato del lavoro (non si riesce a tamponare più neanche attingendo dall’estero, visto che anche gli altri Paesi cercano infermieri e soprattutto visto che altrove la categoria è attratta da retribuzioni più alte), ma nemmeno si riesce a tenere in servizio quei pochi che sono rimasti.

7. La questione professionale. La mancata valorizzazione dell’infermiere è frutto anche di una normativa per l’esercizio professionale vecchia, risalente al secolo scorso e in buona parte inapplicata. Non è pensabile realizzare i progetti del PNRR, tra l’altro creando ulteriore debito pubblico, senza innovare le professioni sanitarie. Gli infermieri possono dare di più alla collettività ed hanno diritto ad avere una prospettiva di carriera professionale, non solo di tipo organizzativo. Le competenze vanno ampliate secondo il livello di studio e aggiornate al grado di formazione universitaria, anche specialistica, che al tempo dell’emanazione del profilo professionale (1994) non era ancora compiuta. Occorre un contratto che delinei una vera carriera professionale per tutti gli infermieri e una normativa che ne allarghi le competenze per dare una sempre migliore assistenza. Non è accettabile che l’esercizio professionale per noi sia sempre subalterno alla professione medica. E invece esclusività di rapporto, libera professione e incarichi professionali per noi non esistono ancora.

8. Il lavoro dell’infermiere è usurante. Non c’è dubbio che fare l’infermiere sia un lavoro usurante. Tuttavia, la professione non rientra in questa categoria. Le dotazioni di personale infermieristico hanno una media del 10% di esonerati a vario titolo e non sono utilizzabili nel lavoro a turni. Pensare di arrivare a prestare assistenza con il lavoro notturno fino a 67 anni è pura utopia. Eppure, non c’è nessuna agevolazione per quei pochi che non avendo ancora problemi fisici, lo svolgono. Si tratta di un impegno altamente disagevole. E lo è ancora di più proprio perché pesa su pochi: la professione, del resto, è in gran parte femminile e la maternità prevede delle giuste agevolazioni nei primi 3 anni di vita del bambino. Tirando le somme, nonostante i gravosi carichi di lavoro nessuna norma riconosce le nostre tipiche malattie come professionali e la nostra attività come usurante.

9. Più posti per infermieri all’università. Per avere più infermieri serve che le università attivino più posti nei corsi, ma per poter formare gli infermieri servono anche più infermieri docenti proprio per garantire una formazione di qualità.

10. Se non ora quando? Al “governo dei migliori” evidentemente non interessa quello che gli infermieri stanno subendo e quanto sacrificio si chiede loro. Non si è visto nessun segnale di attenzione e vicinanza per gli sforzi che stiamo facendo. Anzi, ci è stato negato anche il dovuto – perché già stanziato – e cioè l’indennità di specificità. Uno schiaffo per chi ogni giorno sacrifica se stesso per salvare le vite degli altri e permettere al Paese di stare in piedi. Di fronte a questa sordità vogliamo manifestare il nostro diritto ad essere trattati per quello che valiamo. Non tutte le professioni e non tutti i lavori sono uguali. Non chiediamo uguaglianza, ma equità. Non vogliamo creare disagio ai cittadini più di quello che già vivono. Lottiamo, prima che sia troppo tardi, perché ci siano più infermieri e più motivati per poter dare ancora una assistenza di qualità.

Nursind Emilia Romagna
Renato Congedo

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