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La contenzione fisica della persona adulta: il ruolo degli Infermieri nella media intensità di cura ospedaliera.

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Monitoraggio degli esiti sensibili dell’assistenza: la contenzione fisica della persona adulta nella media intensità di cura ospedaliera. Studio pubblicato da FNOPI.

La contenzione fisica è un intervento straordinario che pone dei problemi etici, assistenziali, deontologici e legali; le pubblicazioni indicano deboli prove scientifiche a sostegno del suo utilizzo, nonostante un frequente ricorso nella pratica clinica. Il monitoraggio del fenomeno è raccomandato, ma le stime sono disomogenee tra loro a causa delle differenti caratteristiche dei luoghi di cura e dell’inclusione o meno delle sponde al letto come mezzi di contenzione. L’obiettivo del presente studio è quello di rilevare la prevalenza della contenzione nel contesto di cura dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Materiali e metodi.

Studio osservazionale, prospettico. Sono state valutate tutte le persone ricoverate sottoposte a contenzione fisica. Il periodo di osservazione è stato di 51 giorni consecutivi e ha coinvolto 21 Unità Assistenziali di degenza a ciclo continuo escludendo l’area critica, l’area pediatrica e l’area della salute mentale. Sono stati effettuati rilievi giornalieri, osservazioni dirette dei pazienti contenuti e analisi della documentazione clinica.

Risultati.

I diversi metodi di indagine utilizzati descrivono una prevalenza della contenzione pari al 2,13% (rilievi giornalieri) e all’1,5% (osservazioni dirette).

Conclusioni.

Le caratteristiche dei contenuti e della contenzione sono sovrapponibili a quanto già presente in letteratura. La prevalenza registrata è confrontabile solo con una realtà trovata in letteratura ma non con altre a causa di campioni differenti (terapie intensive) e diversi mezzi di contenzione (spondine al letto). La prevalenza registrata rientra tra i front runners dei Nursing Sensitive Outcome (NSO).

Parole chiave: contenzione fisica, prevalenza, cure per acuti, assistenza infermieristica, NSO

Ecco lo studio completo.

Per “contenzione” la Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organization (2001) intende qualsiasi metodo fisico che limiti la libertà della persona di muoversi, di svolgere attività fisica, o di accedere al proprio corpo. In modo più completo Evans et al. (2002) la definiscono come qualsiasi dispositivo, materiale o attrezzatura applicato o adiacente al corpo di una persona che non può essere controllato o facilmente rimosso dalla persona stessa e che limiti volontariamente il movimento e/o il normale accesso al proprio corpo.

Nonostante l’uso delle contenzioni fisiche sia da lungo tempo e da molti studi sconsigliato a causa degli effetti collaterali e delle implicazioni deontologiche e medico-legali, numerosi articoli in letteratura ne descrivono il loro frequente utilizzo nella pratica clinica (Krüger et al., 2013; Bai et al., 2014).

Heinze et al., (2011) in Germania hanno rilevato una prevalenza della contenzione del 9,2% comprendendo tra i mezzi contenitivi le sponde al letto e le cinture; Reguan et al. nel 2015, in Israele, hanno rilevato il 3,51% di degenti sottoposti a contenzione, mentre De Vries et al. nel 2004 hanno condotto uno studio europeo rilevando prevalenze delle contenzioni in ospedali geriatrici del 7% in Francia, dello 0% in Austria e Danimarca e in Svizzera dello 0-3%.

La contenzione fisica negli ospedali per acuti è dunque descritta con una prevalenza disomogenea che varia dal 3% al 25% (Krüger et al., 2013).

Il divario può essere spiegato dalle differenti definizioni di contenzione fisica adottate negli studi che hanno indagato il fenomeno, dalle caratteristiche dei luoghi di cura (Fogel et al., 2009; Krüger et al., 2010; Krüger et al., 2013) o dalla presenza di norme che vietino l’utilizzo dei mezzi di contenzione.

Anche la presenza o meno delle sponde al letto tra i mezzi di contenzione risulta essere determinante nel calcolo della prevalenza: vi sono infatti studi che le comprendono tra i mezzi di contenzione (Heinze et al., 2011; Krüger et al., 2013) e studi che le escludono (De Vries et al., 2004; Raguan et al., 2015).

L’inquadramento delle spondine è stato e resta controverso, poiché, in base alla situazione specifica possono essere considerate contenzioni o meno e dunque non tutti sono concordi nell’escluderle, a priori, dai mezzi di contenzione.

Le spondine applicate o correlate al letto, sono strumenti di sicurezza utilizzati per ridurre il rischio di scivolare, rotolare o cadere accidentalmente dal letto. Esse non sono una forma di contenzione se usate per proteggere il paziente dalla caduta dal letto, o se usate per i pazienti incapaci di movimenti volontari. Solo le spondine usate per contrastare la volontà di un paziente di alzarsi dal letto sono da considerare una forma di contenzione (Healey, 2007).

Nel contesto italiano, Degan et al. (2004) e poi Zanetti et al., (2012) hanno rilevato una prevalenza dei pazienti contenuti negli ospedali per acuti del 15,8%. Un recente studio condotto nel contesto nazionale riguardo agli esiti sensibili alle cure infermieristiche, che contemplano nello specifico tra gli esiti indagati anche la contenzione fisica, ha mostrato una prevalenza del fenomeno pari al 38,2% (Mongardi et al., 2014). La contenzione, infatti, rientra tra gli esiti sensibili all’assistenza infermieristica, quelli definiti front runners (Griffiths et al., 2008 poiché indicatori comuni tra i principali modelli di classificazione degli esiti (Cesa et al., 2014).

Nonostante l’impiego della contenzione fisica sia sostenuto dagli operatori sanitari come mezzo di prevenzione delle cadute accidentali, per controllare i disturbi del comportamento (agitazione, pericolo di fuga) o per assicurare la continuità dei trattamenti evitando l’autorimozione di dispositivi sanitari, non vi sono prove scientifiche che ne comprovino l’efficacia per tali scopi e ne supportino l’utilizzo (Lane e Harrington, 2011; De Jonghe et al., 2013).

Alcuni studi riportano che la contenzione fisica possa essere causa diretta di morte e di altri eventi avversi come delirium, stress post-traumatico, cadute, lesioni da pressione, aumento del tempo di degenza ed effetti psicologici negativi, come aggressività o depressione (Li-Yin Chang et al., 2008; Van Rompaey et al., 2009; Bai et al., 2014).
Malgrado ciò non vi sono interventi supportati da forti prove di efficacia volti a ridurne il suo utilizzo (Evans et al., 2002).

La letteratura disponibile consiglia la formazione del personale, la creazione di team multidisciplinari piuttosto che la creazione di protocolli specifici per ridurre al minimo il ricorso alla contenzione (RNAO 2012; ANA, 2012; De Bellis et al., 2013; Said e Kautz, 2013; Cole, 2014; Cosper et al., 2015; Lach et Leach, 2016;).

Organismi internazionali come la Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organization (2001), la Registered Nurses’Association of Ontario in Canada (2012) e il Comitato Nazionale per la Bioetica (2015) raccomandano il monitoraggio della contenzione e relativo feedback agli operatori per ridurne il ricorso.

Nell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) Papa Giovanni XXIII di Bergamo (ex Ospedali Riuniti di Bergamo) è stata emanata nell’anno 2010 una Procedura Specifica inserita nel Sistema Gestione Qualità aziendale relativa alla “Contenzione fisica nell’adulto” indirizzata a tutti gli ambiti di degenza ad eccezione dei contesti di salute mentale, area critica e pediatrica. La Procedura Specifica è stata sottoposta a valutazione ed approvazione del Comitato Etico. Nella Procedura Specifica è stata prevista una scheda per le prescrizioni mediche e il monitoraggio infermieristico da compilare ogni qual volta si proceda ad applicare una contenzione fisica e degli specifici indicatori per la sua valutazione.

Visto il quadro disomogeneo e non sempre confrontabile della prevalenza della contenzione fisica (Raguan et al., 2015) e le raccomandazioni a monitorare il fenomeno (JCAHO, 2001; RNAO, 2012; CNB, 2015), il presente studio ha come obiettivo quello di rilevare la prevalenza della contenzione fisica (spondine escluse) in un grande centro ospedaliero per acuti, contribuendo anche a definire uno dei principali N.S.O. Inoltre si è colta l’occasione per verificare la corretta applicazione delle indicazioni suggerite dalla procedura da parte degli operatori sanitari e analizzare la documentazione clinica per verificare la tracciabilità dei criteri adottati per decidere il ricorso alla contenzione.

Materiali e metodi.

Il presente studio è stato condotto presso l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, presidio ospedaliero dell’omonima Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST), nell’anno 2017. Il disegno di studio è di tipo osservazionale e prospettico. Nelle 21 Unità Assistenziali (U.A.) mediche e chirurgiche a ciclo continuo della media intensità di cura ospedaliera arruolate per lo studio, è stata considerata la popolazione rappresentata da tutte le persone degenti nei giorni di rilevazione.

Sono stati esclusi dalla rilevazione i degenti in regime di day hospital, day surgery, i detenuti, i minori di 18 anni e i degenti in area critica, pediatrica e della salute mentale.

Si sono considerate le sponde al letto solo se applicate per contrastare la volontà della persona di alzarsi dal letto (Healey. 2007).

Raccolta dati.

Nella prima fase di raccolta dati è stata indagata la prevalenza dell’uso delle contenzioni. Per indicare una prevalenza accurata del fenomeno, per studiarne l’andamento nel corso del tempo e per approfondire le caratteristiche di un numero statisticamente significativo di degenti sottoposti a contenzione, è stato chiesto ai Coordinatori Infermieristici ed Ostetrici delle unità arruolate di indicare, ogni mattina, su un’apposita scheda per 51 giorni consecutivi, il numero dei degenti presenti in reparto e il numero di coloro che erano sottoposti a contenzione fisica.

Nella seconda fase di raccolta dati si è svolta un’osservazione diretta nelle U.A. da parte dei ricercatori per verificare gli indicatori presenti nella procedura aziendale.

Calcolata la prevalenza dei degenti contenuti si è verificato che nella cartella clinica di ogni degente sottoposto a contenzione fisica fosse presente la scheda di prescrizione e monitoraggio della contenzione. Infine, tramite una check list, si è analizzata quest’ultima scheda controllandone la corretta e completa compilazione.

Nella terza fase di raccolta dati tramite l’analisi di un campione randomizzato di cartelle cliniche si è potuto registrare il mezzo contenitivo più utilizzato, la motivazione più frequente del ricorso alla contenzione e la presenza o meno di un chiaro percorso che giustificasse il ricorso al mezzo contenitivo nel diario clinico integrato.

La scelta di più metodi per indagare il fenomeno, l’osservazione diretta e le schede compilate dai coordinatori aveva come obiettivo una maggiore attendibilità del dato (Fogel et al., 2009).

Per la conduzione dello studio sono stati richiesti ed ottenuti: l’autorizzazione dalla Direzione Sanitaria dell’ASST, l’approvazione del Comitato Etico provinciale di Bergamo ed il consenso dei pazienti o dei loro legali rappresentanti per il trattamento dei dati personali.

Analisi dei dati.

Tutti i dati sono stati elaborati con foglio di calcolo (Excel). E’ stata calcolata la prevalenza del fenomeno come rapporto tra degenti contenuti e degenti totali nel periodo di raccolta dati. Le differenze tra prevalenze sono state confrontate attraverso il test chi-quadrato; sono stati considerati significativi i valori con p< 0,05.
Nella seconda fase si è rilevato il numero di schede per la prescrizione e monitoraggio della contenzione correttamente attivate in relazione ai degenti effettivamente sottoposti a contenzione fisica e infine la percentuale di compilazione della scheda stessa.

Nelle terza fase si è descritto tramite percentuali il dispositivo e la motivazione più frequente, l’età media dei degenti contenuti e la presenza o meno di un chiaro percorso che giustificasse il ricorso al mezzo contenitivo nel diario clinico integrato.

Risultati.

Nel periodo di indagine sono state raccolte 1071 schede compilate dai Coordinatori nelle quali sono stati segnalati 54 degenti sottoposti a contenzione fisica: il 2,13% dei 2539 pazienti ricoverati. La maggioranza delle persone contenute (72%) è stata segnalata dai Coordinatori nelle U.A. mediche.

Dalle 21 U.A. sono stati esclusi per il calcolo della prevalenza i reparti di ginecologia e ostetricia fisiologica e patologica, poiché ritenuta bassa la probabilità di osservare degenti contenuti.

E’ stata rilevata una prevalenza del 3,15% nella U.A. mediche e dell’1,15% nelle U.A chirurgiche. Il confronto al test chi-quadrato è risultato statisticamente significativo (p<0,01). Le prevalenze maggiori si sono registrate in Neurologia (19,66%) per le U.A. mediche e in Neurochirurgia-Otorino (2,95%) per quelle chirurgiche (Tabella 1). Tabella 1 – Prevalenza della contenzione fisica per Unità Assistenziali I contenuti (57% maschi) hanno un’età media di 72,5 anni (DS 16,2), la moda della distribuzione è pari a 79 anni e la mediana a 78,5 anni. L’età media nelle unità in cui la prevalenza dei contenuti è risultata maggiore era di 77,5 anni in Neurologia e 70,6 anni in Neurochirurgia. La durata media dei giorni di contenzione è stata pari a 6 giornate, 6,7 giorni per i reparti medici e 5,4 per quelli chirurgici. La durata minima è stata di 1 giorno e quella massima di 27 giorni. La mediana, è risultata pari a 4 giorni. Dall’analisi di 12 cartelle cliniche randomizzate tra i degenti segnalati come contenuti, si sono osservati i ferma polsi in velcro (75%) come tipologia di contenzione più frequente, mentre non sono state segnalate spondine al letto con il chiaro intento di contrastare la volontà del paziente di alzarsi dal letto. Altri mezzi contenitivi registrati sono stati i fermapolsi con chiusura magnetica (8%) e la cintura pelvica (17%). Grazie all’osservazione quotidiana del fenomeno è stato possibile rappresentarne l’andamento nel tempo (Grafico 1). Inoltre è stato possibile calcolare la prevalenza del fenomeno nei giorni feriali (1,44%) e in quelli festivi (1,52%). Il confronto al test chi-quadrato non ha mostrato significatività statistica (p>0,05).

Grafico 1 - Prevalenza contenzione nelle U.A. mediche e chirurgiche nei 51 giorni consecutivi di rilevazione.
Grafico 1 – Prevalenza contenzione nelle U.A. mediche e chirurgiche nei 51 giorni consecutivi di rilevazione.

Nella seconda fase di raccolta dati si sono osservati 519 degenti, di cui 8 sottoposti a contenzione fisica ovvero l’1,5%. In questa fase, entrando camera per camera, è stato verificato l’utilizzo delle spondine come mezzo esclusivo di protezione per i degenti che le richiedevano espressamente per paura di cadere dal letto o per quelli che per vari motivi non erano in grado di muoversi volontariamente in modo autonomo.

Si è osservata l’adesione alle indicazioni della Procedura Specifica “Contenzione fisica nell’adulto” presente nel contesto di studio: in un caso su otto, infatti, non era presente la scheda di prescrizione medica e il monitoraggio infermieristico correttamente attivato.

Dall’analisi delle schede di prescrizione e monitoraggio della contenzione, suddivisa in più momenti prescrittivi di 12 ore ciascuno, si è appurato come il 79,5% dei 161 momenti prescrittivi fosse correttamente completato.

Tra le motivazioni del ricorso alla contenzione reperite dall’analisi della documentazione clinica si è registrato nel 66% dei casi il pericolo di autolesionismo dovuto alla rimozione di presidi medicali. Infatti in tutte le cartelle cliniche analizzate i degenti sottoposti a contenzione fisica erano descritti come confusi, agitati e con almeno un dispositivo sanitario applicato (catetere venoso centrale o catetere vescicale). Nei restanti casi la motivazione segnalata dagli infermieri per l’applicazione dei mezzi di contenzione si riferiva ad un pericolo generico per il degente.

Infine nella lettura del diario clinico (medico e infermieristico) in nessun caso è stato possibile reperire un chiaro percorso esperito che giustificasse il ricorso al mezzo contenitivo.

Discussione e conclusioni.

I dati di questo studio confermano che la contenzione fisica è un intervento utilizzato nella pratica clinica. Anche la durata media, l’età dei contenuti, la presenza di almeno un dispositivo sanitario e una prevalenza maggiore nelle U.A. mediche rispetto a quelle chirurgiche concordano con quanto già descritto dalla letteratura (Zanetti et al., 2012; Krüger et al., 2013; Mongardi et al., 2014; Raguan et al., 2015).

Nonostante non vi sia un gold standard per la misurazione della prevalenza della contenzione, il presente lavoro si basa su 51 giorni di osservazione continua, superiori ai 7 indicati come adeguati per una corretta rilevazione del fenomeno (Fogel et al., 2009) e necessari per studiarne l’andamento nel tempo. Grazie alla rilevazione per più giorni consecutivi, sia feriali che festivi, è stato possibile verificare come non vi sia differenza statisticamente significativa nella prevalenza della contenzione fisica, nonostante nei giorni festivi (sabato e domenica) vi fosse meno personale sanitario presente in turno.

Inoltre grazie alla rappresentazione grafica (Grafico 1) è possibile notare che, se per le realtà mediche il fenomeno è costante, in quelle chirurgiche molto meno. Probabilmente l’andamento è collegato all’attività delle sale operatorie, ma non è stato possibile reperire dati per verificare tale ipotesi.

Purtroppo non è stato possibile confrontare la prevalenza registrata con quella di altri studi poiché, anche se simili includevano nel campione contesti da noi esclusi come la terapia intensiva (Raguan et al. 2015) o le spondine al letto come mezzo di contenzione (Krüger et al. 2013).

Fatto salvo che sia del tutto corretto sorvegliare anche l’uso delle spondine, queste dovrebbero avere un conteggio dedicato e separato dagli altri mezzi di contenzione; inoltre nel conteggio dedicato alle spondine si dovrebbe sempre specificare il tipo di spondina (intera o con via di fuga) e se il paziente è in grado/non in grado di superarle in modo volontario. Tali dati sono indispensabili per discernere se le spondine siano applicate come mezzi di contenzione veri e propri, vale a dire idonei a contrastare anche gli eventuali movimenti volontari del paziente, oppure come mezzi di protezione, in altre parole idonei solo a tutelare la persona assistita dalle eventuali conseguenze negative di movimenti involontari, preservando nel contempo la libertà dei movimenti volontari.

I limiti del presente studio sono l’arruolamento dei degenti di un’unica realtà ospedaliera, il numero limitato di cartelle cliniche analizzate, l’avere escluso dall’osservazione il pomeriggio e la notte e il non avere considerato le condizioni funzionali e cognitive degli assistiti contenuti.

I dati registrati durante l’osservazione diretta nelle U.A. arruolate e l’analisi della scheda dedicata alla prescrizione e monitoraggio della contenzione sono stati per la realtà dell’ASST Papa Giovanni XXIII una prima valutazione approfondita del fenomeno della contenzione. I risultati raggiunti sono stati spunto per la diffusione della procedura nell’area critica e pediatrica. L’analisi del diario clinico (medico e infermieristico) e l’incontro con i colleghi ha mostrato come non vengano sistematicamente descritte pratiche e o interventi volti ad evitare il ricorso alla contenzione, ad eccezione dell’aiuto del parente/caregiver che possa garantire un controllo diretto della persona assistita.

La tematica, con le sue implicazioni etiche e medico-legali, non può, quindi, essere affrontata solo elencando gli esiti negativi di tali pratiche, deprecandone l’uso e limitandosi a delle vaghe indicazioni sui metodi “alternativi”, come non di rado capita di leggere. Peraltro si trova incoerente tale aggettivazione, dato che la contenzione fisica dovrebbe essere attuata proprio quando non vi siano delle valide alternative. Sarebbe forse più corretto discutere di metodi “preventivi”, intendendosi con ciò l’insieme delle attività svolte per assistere in sicurezza i pazienti e per fare in modo di non dover ricorrere alla loro contenzione.

Il monitoraggio del fenomeno della contenzione e relativo feedback agli operatori, obiettivo di questo studio, rientra tra gli interventi suggeriti dalla letteratura per prevenirne il ricorso (JCAHO, 2001; RNAO, 2012; CNB, 2015).

Ulteriori studi sono necessari sia per il monitoraggio e lo studio approfondito dei principali N.S.O. in cui il fenomeno della contenzione fisica trova piena collocazione, sia per descrivere le caratteristiche dei degenti contenuti e l’efficacia degli interventi preventivi indicati dalla letteratura.

Conflitto di interessi.

Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Finanziamenti.

Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

Ringraziamenti.

Gli autori desiderano ringraziare tutti coloro che hanno permesso e contribuito alla realizzazione di questo progetto. In particolare i Coordinatori Infermieristici/Ostetrici e i colleghi Infermieri delle U.A. arruolate grazie ai quali è stato possibile rilevare quotidianamente la prevalenza del fenomeno durante il periodo di raccolta dati.

Autori.

Marco Gatti (1), Monica Casati (2), Stefania Di Mauro (3), Ramona Pellegrini (4), Simonetta Cesa (5), Matteo Marchesi (6)

    1. Infermiere, Unità Assistenziale di Malattie Infettive, ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo;
    2. Dirigente Responsabile Ricerca Formazione e Sviluppo, UOC Direzione Professioni Sanitarie e Sociali, ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo;
    3. Professore Associato in Scienze Infermieristiche, Presidente Consiglio di Coordinamento Didattico Laurea in Infermieristica, Laurea in Ostetricia, Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche, Università degli Studi di Milano Bicocca, Scuola di Medicina e Chirurgia;
    4. Infermiere, Staff Ricerca Formazione e Sviluppo, UOC Direzione Professioni Sanitarie e Sociali, ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo;
    5. Direttore, UOC Direzione Professioni Sanitarie e Sociali, ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo;
    6. Medico Legale, ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo.

Corrispondenza: marcogatti@outlook.it

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