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Infermieri, la deontologia professionale ai tempi del Covid-19.

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Una riflessione sul futuro degli Infermieri italiani: un popolo di “eroi” sulla carta, che al contatto umano sono stati costretti ad anteporre quello in nitrile e in tessuto non tessuto, tra guanti, mascherine, calzari, visiere e tute protettive. La Deontologia Professionale ai tempi del Covid-19.

“La terra, l’umanità, la sanità, gli operatori sanitari stanno affrontando un’emergenza sinora sconosciuta al mondo contemporaneo. Gli infermieri stanno svolgendo un ruolo fondamentale, lavorando nell’incertezza e nel pericolo ma mettendo a disposizione tutta la competenza, la scienza, l’etica e la passione che hanno”. Così si apre il Manifesto deontologico per l’emergenza COVID-19 divulgato dalla FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche).

Le metodologie di interazione e comunicazione sono state rivoluzionate da questa emergenza sanitaria. Per noi infermieri sono cambiati molti aspetti in ambito lavorativo, soprattutto quelli legati all’assistenza diretta. Si pensi al tocco di una mano calda e ferma, che può rincuorare una persona che soffre, rispetto ad una mano travestita da un guanto. Queste barriere fisiche che si sono interposte nell’esercizio della prassi quotidiana dei sanitari non hanno spento però lo spirito di aiuto e conforto che ogni giorno muove migliaia di sanitari nel loro lavoro.

La Sanità è mutata e con essa molti aspetti legati alla vita quotidiana, ad oggi però non conosciamo la conclusione di questa triste storia. Impareremo da questa difficoltà o con leggerezza cercheremo di superarla e tenteremo di rimuoverne il ricordo? La verità è che questa situazione ci ha portati tutti a rivalutare i nostri valori e credenze. Questa malattia ha reso vulnerabili tutti noi, indipendentemente dallo status sociale. Questa malattia ci ha mutato, anche se ancora non lo sappiamo vedremo presto i cambiamenti legati alla rivoluzione del COVID-19.

“Affrontare tutto questo richiede grande elasticità e adattamento, nuovi modelli assistenziali, organizzativi e una cornice deontologica che aiuti a dare e offrire senso all’attività quotidiana. In un momento di difficoltà estrema, nel quale tutto sembra diventare impervio e nel quale più forte, e giustificata, è la tentazione di semplificare, crediamo che le qualità professionali e deontologiche degli infermieri possano e debbano essere portate in primo piano, praticate, comunicate ai cittadini” – continua così il Manifesto deontologico.

Come infermieri oggi siamo sotto i riflettori e questa volta per la professionalità e l’impegno. Le prime pagine dei quotidiani in cui una volta eravamo tristemente citati per la violenza (fisica e verbale) subita, oggi hanno lasciato il passo a titoli di ringraziamento e rispetto per la professione.

Non va dimenticato che questi professionisti c’erano anche prima. Prima del Sars-Cov2 gli infermieri rischiavano tutti i giorni di ammalarsi.

Oggi il focus rimane sull’emergenza sanitaria in corso ma vi sono malattie infettive altrettanto gravi che esistevano ed esisteranno anche dopo questa emergenza (si pensi alla meningite batterica, alla tubercolosi e a tutte le infezioni correlate all’assistenza).

Quindi oggi questo enfatizzato eroismo potrebbe non tradursi in un cambiamento domani. Sta ai noi cittadini dare significato a tale esperienza per far crescere la professione e il rispetto che per essa ci deve essere.

Purtroppo – e lo dico con rammarico – in Italia siamo ancora portati a chiederci il perché un infermiere debba avere una laurea per eseguire una puntura o somministrare farmaci, se tanto sono prescritti da un medico. Tristemente dico che ciò accade ed è perché restringiamo la professione infermieristica alla mera esecuzione di atti terapeutici, dimenticando tutto il contorno di pianificazione, valutazione e organizzazione della prassi assistenziale. Ecco questa emergenza può essere l’occasione per far conoscere ai cittadini le peculiarità di questa e altre professioni sanitarie.

Chiariamo l’infermiere non esegue una diagnosi nè prescrive farmaci. Colui che è infermiere si occupa dell’assistenza diretta alle persone secondo le necessità che esse presentano. Chiariamo qui il significato di assistenza: assistenza deriva dal latino adsisto che si traduce in stare accanto. Ecco gli infermieri stanno accanto. Il medico contribuisce alla cura (“to cure”) della malattia ma l’assistenza (“to care”) resta in capo agli infermieri, o meglio alle persone che la richiedono e vengono accompagnate dall’infermiere durante le difficoltà. Nel compiere atti terapeutici diretti l’infermiere è parte integrante della cura e questa emergenza l’ha messo in luce. Cosa servono ventilatori, farmaci, e altro se nessuno coglie la tua sofferenza, se come malato ti senti solo? Nell’essere compassionevoli debbo dire che si sono impegnati tutti. Quello sguardo compassionevole è stato di tutti: infermieri, medici, operatori socio sanitari, e tutti coloro che lavorano per il corretto funzionamento del sistema Sanità. Questo non basta. Non dobbiamo spegnere l’interesse che ora mediaticamente verte sulla Sanità ma cercare di cogliere l’occasione per costruire nuovi ponti di sviluppo per una nuova Sanità.

Riguardo alla Sanità in termini generali molti hanno imputato ai tagli alla spesa pubblica – operati negli ultimi anni – le difficoltà riscontrate durante questa crisi sanitaria.

Questi tagli non si possono negare, ma non si può nemmeno negare il cambiamento globale (ndr. crisi economica) avvenuto negli ultimi anni. Le nostre strutture pubbliche al momento si chiamano tutte aziende.

Oggi comprendiamo – nella penuria di risorse – che la Sanità è un’azienda e in quanto tale deve mantenere standard e bilancio. A molti non piace l’idea che la Sanità -in quanto pubblica- abbia un indirizzo alla privatizzazione, ma ciò si è reso indispensabile per via dei cambiamenti economici sopracitati. Negli anni ’90 del secolo scorso la Sanità era un’azienda a perdere, oggi quello che si tenta è di pareggiare un bilancio. Negli ultimi vent’anni si è cercato di tramutare la Sanità in azienda de facto.

Questo orientamento alla privatizzazione e aziendalizzazione è emerso con l’emergenza COVID-19. Dopo l’emergenza parleremo di bilanci a perdere ma in termini umani. Le difficoltà fisiche (come indossare una tuta in Tivek per diverse ore, vivere isolati dalla propria famiglia, ecc) e psicologiche (esempio l’abbandono e la sofferenza percepita, ecc) dei sanitari fanno emergere come questo sistema sia fragile e come le diversità di azienda in azienda siano significative.

Le diversità di trattamento da parte dei lavoratori nell’ambito sanitario ha creato un divario abissale tra la Sanità pubblica e quella privata. Non solo quindi l’estendersi della pandemia ha creato difficoltà nel sopperire all’emergenza ma ha anche evidenziato un differente trattamento tra i lavoratori dell’ambito pubblico e di quello privato, per non parlare di coloro che operano in regime libero professionale.

L’Emilia-Romagna si è distinta da altre regioni per l’imponente azione di informatizzazione delle informazioni sanitarie.

Il Fascicolo Sanitario Elettronico che in precedenza era possibile attivare solo tramite presenza fisica oggi è attivabile anche da remoto tramite personal computer.

Per le donne gravide e puerpere è stata attivata una app per accompagnarle nel percorso nascita, già di per sé difficile oggi ostacolato dalle politiche sociali. Altro fiore all’occhiello è stata l’organizzazione di strutture sanitarie o la riorganizzazione delle stesse in risposta all’emergenza: si pensi all’ospedale da campo piacentino di recente chiuso (in virtù del rientro dell’emergenza). Inoltre la nostra regione è diventata “hub” (riferimento al modello anglosassone “hub&spoke”) per le terapie intensive di tutta la nazione, creando 146 nuovi posti letto per i malati COVID-19.

Ma l’Emilia-Romagna nasconde anche varie ombre. Si pensi a tutte le residenze dove vengono assistite le persone inabili o anziane, queste sono state letteralmente abbandonate, e oggi di interesse solo grazie ad uno sguardo mediatico nazionale. Per non parlare della sorveglianza sanitaria nei confronti degli operatori che è stata disomogenea e purtroppo continua ad esserlo.

Tonando al Manifesto deontologico per l’emergenza COVID-19 divulgato dalla FNOPI: “Il racconto, oggi così enfatizzato, dell’eroismo dei professionisti della sanità, domani potrebbe diventare un ricordo, superato da nuovi argomenti, da conflitti, dalla superficialità della comunicazione. Bisogna allora investire per far diventare permanente la percezione sociale del ruolo dell’infermiere, fatta anche del contenuto etico della professione”.

Noi infermieri abbiamo il dovere di far emergere il nostro valore e richiedere i dovuti riconoscimenti sociali, affinché un giorno diventino parte della nostra cultura. Per via della continua evoluzione della professione infermieristica siamo stati oggetto di subordinazione sociale. Questo non significa piegarsi al mero guadagno e accettare a testa bassa denaro erogato dallo Stato per l’emergenza, significa battersi affinché la nostra professione sia conosciuta ed emerga in quanto tale.

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Dott.ssa Giulia De Francesco
Dott.ssa Giulia De Francesco
Infermiera, classe 1994. Vive a Imola e lavora presso l’AUSL Romagna (Faenza); studia a Bologna per conseguire la laurea magistrale. Laurea in infermieristica con Lode presso l'Università di Bologna, I sessione (ottobre 2016). Master in funzioni di coordinamento con Lode presso l'Università di Modena e Reggio Emilia, I sessione (novembre 2018). Una pubblicazione scientifica sulla rivista italiana ANIPIO "Sperimentazione di una check-list per implementare un Bundle per la prevenzione delle batteriemie correlate a Catetere Venoso Centrale" (ottobre 2017). Ama leggere e camminare, non datele un microfono perché improvvisa un karaoke ovunque.
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