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Infermieri e violenza sugli operatori sanitari: tra aggressioni e minacce che vanno punite.

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Oggi parliamo di Infermieri e di violenza sugli operatori sanitari, con uno spunto su aggressioni e minacce che vanno assolutamente punite.

La vera svolta per la figura infermieristica è legata all’intervento di Florence Nightingale (1820-1910), nobildonna inglese dalla forte vocazione religiosa, la prima alla quale sia possibile attribuire propriamente il titolo di “infermiera”.

Nightingale offrì il suo principale contributo alla professionalizzazione dell’assistenza infermieristica nell’ambito della formazione. Con l’obiettivo di innalzare lo status sociale delle infermiere, intuì fondamentale la capacità di dirigere e insegnare ad altre. Prendersi cura delle persone, delle loro debolezze e delle loro fragilità, non è più un mestiere, un impiego, un lavoro retribuito, bensì un compito, che richiede una devozione disinteressata e viscerale ed un grande rispetto della vita.

Fondamentali in questo percorso di formazione sono la forza dell’ascolto attivo e i modelli comportamentali.

Accade però che molto spesso , si ascoltano in tv notizie di infermieri che vengono aggrediti nel loro posto di lavoro durante le ore di servizio. Gli stessi infermieri che fino a poco tempo fa venivano considerati “eroi o angeli della SARS COV- 2. Recentemente all’accettazione del pronto soccorso dell’ospedale SS. Annunziata di Taranto si è verificato una forma di aggressione nei confronti di un infermiere.

Il familiare di una paziente , infatti, ha rivolto grida, parolacce, offese personali e pesanti minacce ad un infermiere di turno al Pronto Soccorso. L’intervento di una guardia giurata ha fermato la violenta aggressione verbale, ma l’operatore sanitario ha dovuto ricorrere alle cure dello stesso Pronto Soccorso. Ha avuto una prognosi di tre giorni per crisi ipertensiva reattiva e tachicardia . Gli operatori sanitari subiscono aggressioni, minacce e molestie sul luogo di lavoro in misura sempre maggiore.

Il National Institute of Occupational Safety and Healt (NIOSH), definisce la violenza sul posto di lavoro come “ogni aggressione fisica, comportamento minaccioso o abuso verbale che si verifica sul posto di lavoro”.

Gli atti di violenza consistono nella maggior parte dei casi in eventi con esito non mortale, ossia aggressione o tentativo di aggressione, fisica o verbale, quale quella realizzata con uso di un linguaggio offensivo.

Il fenomeno è molto diffuso e non riconosce significative differenze di genere o di ruolo, anche se, tra tutti gli operatori sanitari, gli infermieri sembrano quelli maggiormente esposti perché a diretto contatto con il paziente e perché devono gestire rapporti caratterizzati da una forte emotività con soggetti che si trovano in uno stato di frustrazione, vulnerabilità e perdita di controllo.

Pur rappresentando un fenomeno in forte crescita, le aggressioni sono raramente segnalate; questo atteggiamento, molto probabilmente, è influenzato dal ruolo sociale e da fattori culturali.

Gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari costituiscono degli eventi sentinella che richiedono la messa in atto di opportune iniziative di prevenzione e di protezione.

Il fenomeno desta tanta più attenzione se si considerano le conseguenze che da esso derivano; shock, incredulità, senso di colpa, aumento dei livelli di stress; sono solo alcuni degli effetti che ciascun episodio può avere su ogni operatore coinvolto. Questo, oltre ad avere un impatto negativo sui costi della sanità pubblica e sull’efficienza organizzativa, interferisce con l’erogazione di cure di qualità.

Gli atti di violenza non sono degli eventi inevitabili, anzi è possibile, oltre che doveroso, prevederli e prevenirli.

La formazione del personale, accompagnata a misure di sicurezza organizzative ed ambientali, contribuisce alla prevenzione e riduzione degli eventi aggressivi in maniera significativa, oltre che alla creazione di una cultura del lavoro in cui le persone sono trattate con rispetto da colleghi e superiori e dove il lavoro è riconosciuto come un bene supremo.

La corretta azione gestionale da parte delle direzioni sanitarie, la formazione del personale, lo studio del fenomeno e la modifica dell’ambiente sono gli elementi principali su cui intervenire per far sì che i comportamenti e gli ambienti dove vengono erogate le prestazioni di cura e di assistenza siano il più possibile idonei sia per gli utenti che per gli operatori a garanzia della loro sicurezza. Prevenire gli atti di violenza contro gli operatori sanitari diviene quindi uno degli obiettivi principali al fine di favorire l’eliminazione o riduzione delle condizioni di rischio presenti e consentire l’acquisizione di competenze da parte degli operatori nel valutare e gestire tali eventi quando accadono.

Nel novembre 2007, il Ministero della Salute ha emanato la Raccomandazione n.8, al fine di prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari, attraverso l’implementazione di misure che consentano l’eliminazione o riduzione delle condizioni di rischio presenti e l’acquisizione di competenze da parte degli stessi.

Secondo l’articolo 28 del D.Lgs 81/08, ciascuna struttura sanitaria dovrebbe elaborare ed implementare un programma di prevenzione della violenza, le cui finalità sono di diffondere una politica di tolleranza zero verso atti di violenza, fisica o verbale, nei servizi sanitari e assicurarsi che operatori, pazienti e visitatori siano a conoscenza di tale politica, incoraggiando, così , il personale a segnalare prontamente gli episodi subiti e a suggerire misure per ridurre o eliminare i rischi, facilitando il coordinamento con le forze di polizia o altri soggetti che possano fornire un valido supporto per identificare le migliori strategie. Purtroppo negli ultimi dieci anni i comportamenti aggressivi verso infermieri e personale sanitario sono notevolmente aumentati e i servizi socio-sanitari che devono rispondere per contenerli e trattarli, si trovano impreparati ad affrontarli in maniera appropriata, soprattutto per l’inadeguatezza delle strutture e dei mezzi a disposizione. Secondo la letteratura internazionale, gli atteggiamenti aggressivi avrebbero un effetto indiretto sulla qualità delle cure prestate, in quanto gli operatori tendono a dedicare meno tempo ai pazienti aggressivi o lo fanno comunque meno volentieri. La formazione professionale è considerata dagli operatori sanitari la strategia più utile per aumentare le proprie competenze, infatti, può migliorare le reazioni degli infermieri agli episodi aggressivi, fornendo tecniche di prevenzione, di autodifesa e strumenti per evitare le provocazioni dei pazienti evitando l’innescarsi del ciclo dell’escalation dell’aggressività.

Come cita Nightingale “l’infermieristica, non è semplicemente tecnica, ma un sapere che coinvolge anima, mente e immaginazione”, è un sapere che ha bisogno di un metodo, di una forma mentis che permetta al professionista di porre in relazione l’insieme di conoscenze astratte con la finalità pratica (la soddisfazione dei bisogni dell’utente) e quindi con la risoluzione dei problemi.

Affinché tutto ciò possa essere realizzato occorre, però, mettere in sicurezza l’infermiere sul proprio posto di lavoro. Solo così, l’ infermiere potrà promuovere il benessere, prevenire la malattia e ripristinare la salute nell’individuo, nella famiglia e nella comunità.

Dott.ssa Monica Cardellicchio
Dott.ssa Monica Cardellicchiohttps://www.assocarenews.it/
Laurea magistrale in Scienze Infermieristiche ed Osteriche Master di I livello in Management e coordinamento delle professioni sanitarie Master di I livello in Wound Care basato su prove di efficacia Master di II livello in Management delle Aziende Sanitarie Professore a contratto presso il Policlinico di Bari della Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Osteriche e della Laurea in Infermieristica . Segretaria della Commissione dell' albo dell' OPI di Taranto
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