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Il 10% di Medici, Infermieri e OSS utilizzano anti-depressivi e sonniferi dopo l’avvento del Covid.

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In uno studio sul tema “Hospital workers mental health during the Covid-19 pandemic” emerge che il 10% di Medici, Infermieri e OSS fanno uso regolare di anti-depressivi e sonniferi dopo l’arrivo del Covid nel 2020.

In una fase preliminare della ricerca, ai 550 partecipanti (nella maggioranza medici, infermieri e operatori socio sanitari, ma anche tecnici di laboratorio e impiegati del «Policlinico») viene chiesto se abbiano patologie e se assumano regolarmente farmaci. E’ quanto riferisce sul Corriere il collega Gianni Santucci.

Poco più di duecento dicono di sì. Tra questi, però, colpiscono le risposte di 56 operatori della sanità, dunque il 10 per cento del totale, che dichiarano di assumere e aver assunto ansiolitici, antidepressivi, sedativi e sonniferi (oltre a vitamine), e che spiegano di aver iniziato a farlo dopo marzo del 2020: come una sorta di necessità, per provare a lenire le conseguenze psicologiche dello stress che si è riversato sul loro lavoro con paure, preoccupazioni, turni massacranti e spesso impotenza di fronte ai tanti decessi dei pazienti quando l’ospedale è stato investito dalla prima ondata del Covid.

Lo studio (Hospital workers mental health during the Covid-19 pandemic) è stato pubblicato qualche giorno fa sulla rivista scientifica Medical research methodology e non racconta solo i risultati di una ricerca. È invece il primo resoconto di un lavoro molto più ampio (questa prima fase si è conclusa tra agosto e dicembre 2020), nel quale gli specialisti di psichiatria e medicina del lavoro dell’ospedale valuteranno nel corso di due anni le condizioni psicologiche di circa 3 mila lavoratori, di fatto quasi l’intero personale del «Policlinico», dai medici, agli impiegati. Questo enorme programma di screening e assistenza è stato organizzato perché i lavoratori della sanità «hanno vissuto esperienze che sono paragonabili a una guerra in termini di impatto psicologico». E dunque per disturbi molto gravi, quale ad esempio il «disordine da stress post traumatico» (patologia tipica dei soldati che hanno combattuto), la «sorveglianza attiva è fondamentale per una diagnosi precoce». Dopo il primo livello di valutazione, il 39 per cento dei medici e infermieri sono risultati sopra la soglia che indica un generalizzato stress psicologico e circa «un quinto dei soggetti mostra sintomi da stress post traumatico e manifestazioni di ansia».

Sono 192 gli operatori sanitari del «Policlinico» (ed è probabile che la situazione sia analoga in tutti gli altri grandi ospedali) che sono stati così sottoposti a un secondo livello di approfondimento, più specifico. Tra questi, i sintomi prevalenti erano di depressione (12 per cento sui 550 lavoratori che hanno partecipato a questa prima fase del lavoro), e dissociazione (7 per cento del totale). Il disagio psicologico è più diffuso tra donne, infermieri, lavoratori giovani o maggiormente e più a lungo impegnati nei reparti Covid.

Per comprendere il livello di sofferenza sopportato da medici e personale sanitario bisogna considerare anche che, solo tra questi primi 550 partecipanti del «Policlinico», 60 si sono ammalati di Covid, 90 sono stati in quarantena, 75 hanno avuto un familiare contagiato, 18 un familiare ricoverato e 10 un membro della propria famiglia deceduto. E infatti la paura di portare il virus a casa è stato uno degli elementi più critici nella gestione psicologica del proprio lavoro (lo sostiene il 78 per cento di medici e infermieri), alcuni si sono sentiti in qualche modo «discriminati» fuori dall’ospedale (20 per cento), molti hanno avuto abbastanza o molta paura per la propria salute (43 per cento), quasi tutti hanno cambiato in modo consistente le proprie abitudini familiari (69 per cento). E poi ci sono 68 medici e infermieri che hanno detto di aver pensato spesso di cambiare lavoro (12 per cento), mentre altri 37 (7 per cento) hanno valutato molto seriamente questa possibilità. E si completa dunque così il ritratto di questo «esercito» ferito, al quale il «Policlinico» cerca di dare supporto con questo programma che, per chi dovesse avere sintomi di patologie più gravi, arriverà a un sostegno specialistico. Tutti i lavoratori faranno comunque periodiche valutazioni, a intervalli di 6 e 12 mesi, a seconda delle loro condizioni.

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