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Gli Infermieri non possono definirsi Dottori, ma solo i Medici.

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Ci scrive Mark Tedeschi, un lettore: “per non prendere in giro gli Infermieri non li chiamerò mai Dottori, questo termine può essere usato solo per i Medici”.

Gentile Direttore,

mi sono causalmente imbattuto nell’articolo dal titolo Dottori, Infermieri o IP: avete il coraggio di siglarvi con il titolo accademico? e, avendolo trovato particolarmente macchiettistico, non ho potuto esimermi dal commentarlo.

Ora che hanno un corso di laurea dedicato, anche gli infermieri ambiscono a farsi chiamare dottori, come, d’altra parte, tutti i laureati triennali di qualsiasi disciplina.

Vorrei far presente che il titolo di dottore nel resto del mondo si conferisce solo ai medici e a coloro che possiedono un dottorato di ricerca in qualsiasi campo dello scibile.

Vorrei anche ricordare che il titolo in questione, differentemente da quanto di prassi nel resto del mondo, se non con pochissime eccezioni, veniva correttamente conferito in Italia anche ai laureati secondo il vecchio ordinamento.

Il motivo è da ricercarsi nel fatto che in Italia l’Università forniva tradizionalmente un bagaglio di nozioni teoriche superiore a quello dei laureati di altri paesi, che tuttavia, in genere, al termine degli studi erano più spendibili nel mondo del lavoro, in quanto il loro corso di studi era più orientato alla pratica, prevedendo, spesso, anche l’alternanza studio-lavoro.

Premesso quanto sopra, vorrei rammentare che gli attuali corsi triennali altro non sono che i vecchi corsi parauniversitari, ai quali ci si è limitati a cambiare status, tant’è vero, ad esempio, che un infermiere formatosi vent’anni fa tramite corso parauniversitario triennale post diploma di maturità, può conseguire la laurea triennale, ed il tanto ambito titolo di “dottore”, semplicemente frequentando un corso proforma di qualche ora presso alcune Università (molto nota è quella di Chieti) e scrivendo una tesina, anch’essa proforma.

Per intenderci, io non sono né medico, né infermiere, ma ho una laurea quinquennale vecchio ordinamento e un dottorato di ricerca. La riforma dell’Università seguita al cosiddetto Processo di Bologna, che definirei più che altro un’operazione di maquillage, in quanto non è intervenuta modificando la sostanza, come in coerente stile italico, è caduta, guarda caso, nel periodo in cui, terminato il dottorato, facevo da assistente al titolare di cattedra. Dunque, conosco bene l’argomento e le difficoltà allora affrontate per modificare i programmi di studi, adattandoli a quanto previsto dalla riforma. Ricordo bene che, per dar forma alle laurea brevi, poi chiamate triennali, perché qualcuno non si sentisse offeso, ci fu richiesto di ridurre i programmi delle lauree vecchio ordinamento, quinquennali o quadriennali che fossero, di un buon 40%. Non è stato un compito facile, perché un docente vorrebbe piuttosto fornire maggiori nozioni, non il contrario. I nuovi piani di studio triennali, a nostro giudizio, davano solo un’infarinatura generale. Se prendiamo, ad esempio, una vecchia laurea quadriennale, che solo pochissimi studenti (indicativamente il 9-11%) riuscivano effettivamente a concludere in quattro anni, vista la mole non indifferente dei programmi di studio, riducendola del 40% è venuta a corrispondere a 2,4 anni delle lauree ante riforma. Anche aggiungendovi i due anni di laurea specialistica o magistrale, come successivamente denominata, arriveremmo a 3,2 anni delle vecchie lauree quadriennali.

Ora, capisco che in Italia si voglia soddisfare a tutti costi il desiderio morboso del titolo “dott.” davanti al cognome, ma la riforma ci ha resi ridicoli agli occhi del resto del mondo, dove un laureato triennale è solo un baccelliere, o bachelor (B.Sc., B.A., etc.) e un laureato magistrale è un solo un maestro, o master (M.Sc., M.A., etc.). Addirittura, anche negli USA, dove il livello d’istruzione, anche universitario, è ben inferiore a quello del Belpaese, un laureato triennale rimane un undergraduate.

Vabbè, siamo in Italia, paese notoriamente molto folcloristico, e allora usiamo pure il titolo tanto ambito anche dopo tre anni di infarinatura universitaria, anche se personalmente mi fa sorridere, e un po’ anche compassione, in quanto sintomatico di una forte insicurezza di base, se non addirittura dell’ambizione di sostituirsi al medico, che tuttavia è ben altra cosa.

Il problema, tuttavia, si pone in particolar modo in ambito sanitario. Non riesco ad immaginare un medico specializzato, e perciò con almeno 11 anni di impegnativi studi universitari alle spalle (6 di laurea + 5 di specialità) dover chiamare dottore l’infermiere con studi equivalente ai vecchi diplomi universitari. “Dottore, potrebbe cortesemente passarmi il bisturi? Certamente, dottore”. Ciò, tra l’altro, causerebbe confusione e disorientamento nel paziente, e si presterebbe molto all’ambiguità, cosa che, ne sono convinto, farebbe comodo a qualche supponente operatore sanitario non medico. D’altra parte, ho recentemente letto che anche gli OSS ormai reclamano il proprio corso di laurea, con il relativo titolo da sfoggiare davanti al cognome. Ho l’impressione che si stia un po’ esagerando.

Ad ogni modo, visto che la legge in Italia, pur vergognosamente, lo consente, firmatevi e fatevi pure chiamare “dottori”. Per me, in ambito ospedaliero, dottore è e rimane il medico, e mai mi rivolgerò ad un Infermiere utilizzando quel titolo. Ben inteso, non per disprezzo, in quanto stimo l’Infermiere e riconosco la sua professionalità, ma solo per mettere le cose al loro giusto posto.

Nella speranza che queste mie note vengano prese per quello che sono, un semplice spunto di riflessione, con stima.

Mark Tedeschi, lettore

(anche se, pur non tenendoci affatto, coerentemente col vostro articolo dovrei firmarmi “Dott. Ric. Dott. Mag. Dott. Mark Tedeschi”)

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