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Gli Infermieri italiani sono quelli meno pagati in Europa. Sono 445.000, ma ne mancano 70.000.

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Secondo una indagine condotta dall’Osservatorio Oasi del Cergas Bocconi in Italia mancano 70.000 Infermieri e quelli che ci sono sono sfruttati e sottopagati.

E’ quanto emerso al temine del Congresso itinerante della Federazione Nazionale Ordini delle Professioni Infermieristiche, che si è conclusa nei giorni scorsi in quel di Palermo in Sicilia.

Il personale infermieristico è allo stremo e sono a rischio anche le ferie estive in molte aziende sanitarie o ospedaliere pubbliche e private.

Dopo oltre due anni di pandemia, l’Italia si scopre ancora carente per quanto riguarda il personale sanitario. Secondo i dati forniti dalla Federazione nazionale Ordini professioni infermieristiche (Fnopi) in occasione della Giornata internazionale dell’infermiere, ne mancano almeno 70mila.

La maggiore sofferenza si trova nel Nord Italia, dove ne mancano circa 28.500, mentre al Centro gli operatori mancanti sono 24.500 e al Sud 17mila. Sono in totale 456.069 gli infermieri in Italia, ma soltanto 395mila sono quelli attivi, con una maggioranza assoluta di donne, che raggiunge il 78%.

In base al Pnrr, sono necessari circa 50mila infermieri in più, ma il decreto ministeriale 71, che definisce ‘Modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale’, prevede che si passi dall’attuale copertura del 4-6% per gli over 65 almeno al 10%. Percentuali che, secondo l’osservatorio Oasi del Cergas Bocconi, si traducono così in un fabbisogno di circa 70.000 unità. Mentre in prospettiva, la cifra cresce ancora considerando gli infermieri già presenti nei servizi oggi esistenti sul territorio.

In questa situazione il carico è elevato per il personale in servizio. Circa il 40% degli infermieri occupati nel Servizio sanitario nazionale (dati Istat) svolge lavoro straordinario (circa 108mila unità su 270mila dipendenti). Nel 4,5-5% le ore di lavoro sono in eccesso rispetto ai normali parametri previsti. Inoltre, sempre secondo l’Istat, mentre risulta che il lavoro notturno è la modalità di lavoro meno diffusa nelle professioni tradizionali (lavora di notte solo il 10,2% degli occupati.) tra gli infermieri dei servizi ospedalieri il 57,8% afferma di aver lavorato di notte nelle ultime 4 settimane e il 44,4 per 2 o più volte ogni settimana. Le percentuali relative al lavoro domenicale, nelle professioni esterne al sistema sanitario, scendono sotto il 20%, per gli infermieri, invece, il lavoro domenicale è quasi la norma, e tocca il 68,3% nei servizi ospedalieri.

E intanto gli operatori invecchiano. L’età media degli iscritti agli Ordini è 52,2 anni (era 45,6 nel 2019), quella dei dipendenti del Servizio sanitario nazionale 56,49, con differenze nelle regioni, dove il blocco del turn over è totale (in Campania tra iscritti all’albo e dipendenti ci sono 8,4 anni) e minori in quelle a Statuto speciale, che si comportano in autonomia (in Friuli Venezia Giulia la differenza è 1,38 anni a sfavore dei dipendenti), seguite dalle Regioni Benchmark: in Emilia Romagna, Lombardia e così via. Le Regioni che hanno il maggior numero di infermieri al di sotto di 28 anni sono: Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Sicilia. Le Regioni che hanno il maggior numero di infermieri al di sopra dei 58 anni sono: Lombardia, Sicilia, Lazio, Campania e Emilia Romagna.

La pandemia, in questa situazione, ha amplificato il problema, tanto che, il Governo “ha dovuto far fronte ai vuoti di organico consentendo a personale straniero di lavorare anche in strutture pubbliche senza il riconoscimento del titolo di studio e attualmente alcune regioni utilizzano professionalità non infermieristiche, con la formazione di personale socio sanitario. Oggi, nella giornata internazionale dell’infermiere, è un dovere fare un bilancio per comprendere come lo Stato deve supportare la federazione e i suoi iscritti che si sono battuti con modalità straordinarie negli ultimi due anni”, dice la Fnopi.

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