La Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) lancia l’allarme: nei prossimi dieci anni 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave. Nel 2030 gli ultra-65 anni potrebbero raggiungere e superare la quota di 4 milioni e mezzo di unità. Di questi circa 1 milione e 200 mila persone avranno più di 85 anni.
L’allarme della FNOPI non è campata per aria, ma è legato strettamente con un dettagliato studio compiuto e reso noto dall’ISTAT.
Il potenziamento dell’assistenza domiciliare e della residenzialità fondata sulla rete territoriale di presidi sociosanitari e socioassistenziali, a oggi ancora un privilegio per pochi, con forti disomogeneità a livello regionale, non è più procrastinabile anche in funzione di equilibri sociali destinati a scomparire, con la progressiva riduzione di persone giovani all’interno dei nuclei familiari. Se oggi ci sono 35 anziani ogni 100 persone in età lavorativa, nel 2050 ce ne saranno quasi il doppio: 63.
“Parla chiaro l’indagine che Istat ha condotto per Italia Longeva – afferma Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) – e il suo presidente, Roberto Bernabei, aggiunge anche che la disabilità nel 2030 interesserà 5 milioni di anziani, e diventerà la vera emergenza del futuro e il principale problema di sostenibilità economica nel nostro Paese. Essere disabile vuol dire avere bisogno di cure a lungo termine che, solo nel 2016, hanno assorbito 15 miliardi di euro, dei quali ben tre miliardi e mezzo pagati di tasca propria dalle famiglie.
“Una necessità ormai indifferibile che non può essere fermata da posizioni vetero-culturali di chi non ha capito come si è evoluta la figura e la professionalità dell’infermiere sia nel senso delle capacità clinico-assistenziali, sia per quanto riguarda la responsabilità professionale e tenta, facendo ombra alla sua professionalità, di compiere manovre che con l’assistenza non hanno nulla a che fare e soprattutto non sono lo specchio della multiprofessionalità di cui ha bisogno il nostro sistema sanitario nei prossimi anni proprio alla luce di questi dati e che già caratterizza le Regioni più evolute proprio nell’assistenza domiciliare”.
“È ora di dire basta – conclude Mangiacavalli – a chi si oppone ad una rivoluzione culturale in ambito socio sanitario, dobbiamo tutti collaborare ad un nuovo modello di salute, dobbiamo trovare modelli di dialogo per l’interesse del cittadino, dobbiamo far esplodere e formalizzare il tema delle competenze avanzate maturate e quindi esigibili dai professionisti, ma sia chiaro: chi continua ad opporsi oggi con puro approccio autoreferenziale dovrà assumersi la responsabilità delle conseguenze di questo atteggiamento davanti a tutti i nostri cittadini”.