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Coronavirus. I sette punti fermi degli Infermieri per la fase 2: “senza di noi l’Italia muore”.

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Il futuro degli infermieri nelle sette richieste della FNOPI a Governo e Regioni.

Lettera della Federazione nazionale alle istituzioni per le necessità reali della categoria nella “fase 2”.

La “fase 2” per gli infermieri – quando inizierà – comincia con una lettera inviata dalla Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche a Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, Roberto Speranza, ministro della Salute e Stefano Bonaccini, presidente delle Regioni.

Una lettera che spiega in sette punti le necessità per ristabilire equità, multidisciplinarietà vera e giustizia dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, anche a favore di quei servizi che proprio nell’emergenza si sono dimostrati più carenti se non spesso inesistenti. Come il territorio.

E fa una richiesta – un ottavo punto se si vuole -: che tutte le novità chieste per il servizio pubblico servano anche per accreditare e autorizzare le strutture private dove dovranno essere inserite e previste a questo scopo.

Ora tutti sanno cosa sono gli infermieri, cosa fanno e quanto valgono davvero. Ora tutti hanno toccato con mano la loro professionalità, la loro disponibilità, la loro vicinanza con i cittadini e con gli assistiti, senza curarsi di turni mai interrotti, del rischio infettivo che ne ha fatto la categoria di operatori più colpiti da COVID-19 e per il quale molti hanno anche perso la vita.

Lo ha riconosciuto lo stesso premier che alla Camera ha detto “non ci dimenticheremo di voi”. E i media gli hanno fatto eco sottolineando un profilo alto della categoria che a fronte di tutto questo percepisce stipendi medi da 1.400 euro al mese e ha difficoltà nel fare carriera per blocchi legati ad antichi e ormai obsoleti retaggi.

Ed ecco le sette richieste degli infermieri per un futuro – come promesso – migliore, ma anche per poter assistere da domani, quando l’emergenza sarà passata, chi ne ha bisogno, nel modo più professionale e intenso possibile. Soprattutto sul territorio. Senza mai, come stanno già facendo durante COVID-19 – lasciare solo nessuno.

  1. Un‘area contrattuale infermieristica che riconosca peculiarità, competenza e indispensabilità ormai evidenti di una categoria che rappresenta oltre il 41% delle forze del Servizio sanitario nazionale e oltre il 61% degli organici delle professioni sanitarie.
  2. Una indennità infermieristica che, al pari di quella già riconosciuta per altre professioni sanitarie della dirigenza, sia parte del trattamento economico fondamentale, non una “una tantum” e riconosca e valorizzi sul piano economico le profonde differenze rispetto alle altre professioni, sempre esistite, ma rese evidenti proprio da COVID-19.
  3. Garanzie sull’adeguamento dei fondi contrattuali e possibilità di un loro utilizzo per un’indennità specifica e dignitosa per tutti i professionisti che assistono pazienti con un rischio infettivo.
  4. Garanzie di un adeguamento della normativa sul riconoscimento della malattia professionale in caso di infezione con o senza esiti temporanei o permanenti.
  5. Immediato adeguamento delle dotazioni organiche con l’aggiornamento altrettanto immediato della programmazione degli accessi universitari: gli infermieri non bastano, ne mancano 53mila ma gli Atenei puntano ogni anno al ribasso.
  6. Aggiornamento della normativa sull’accesso alla direzione delle aziende di servizi alla persona: siamo sul territorio, dove l’emergenza ha dimostrato che non è possibile prescindere da una competenza sanitaria di tipo assistenziale a garanzia degli ospiti. Come nelle RSA ad esempio dove si stanno destinando proprio infermieri, quelli del contingente dei 500 volontari scelti dalla Protezione civile, ma anche a domicilio con cronici, anziani, non autosufficienti e così via.
  7. E per questo – è la settima richiesta – dare anche agli infermieri pubblici – superando il vincolo di esclusività, un’intramoenia infermieristica già scritta anche in alcuni Ddl fermi in Parlamento che gli consenta di prestare attività professionale a favore di strutture sociosanitarie (RSA, case di riposo, strutture residenziali, riabilitative…), per far fronte alla gravissima carenza di personale infermieristico di queste strutture. Applicando anche nel caso la legge 1 del 2002) di 18 anni fa quindi) che prevedeva prestazioni aggiuntive e possibilità che altro non sono se non il richiamo in servizio di pensionati e contratti a tempo determinato utilizzati una tantum (ma indispensabili a quanto pare) per COVID-19.

“Ovviamente la Federazione – dice Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI – è pronta a dare tutto il supporto necessario alle istituzioni per realizzare queste richieste nel modo migliore, più equo, ma anche più rapido possibile. Per ridisegnare un servizio sanitario, sia pubblico che privato, efficiente e preparato più di quanto il nostro si sia già dimostrato. I modi ci sono, basta volerli prendere in considerazione davvero. E che risultati daranno. oggi lo vedono tutti, purtroppo, in un’emergenza dove la volontarietà degli infermieri e la loro professionalità hanno davvero fatto la differenza. Oggi ci definiscono eroi. In realtà siamo professionisti come gli altri che credono nel proprio lavoro. Perciò queste richieste saranno la ‘nostra medaglia’”.

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