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Coronavirus: quali standard di cura negli studi su pazienti Covid19 positivi?

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Covid19: centinaia di studi negli ultimi mesi portano una serie di criticità. Quali standard di cura negli studi sui pazienti?

Covid19: nell’arco di poco più di un mese sono stati valutati oltre 100 protocolli di studi clinici su pazienti, riscontrando una rapida evoluzione dell’approccio gestionale e terapeutico e dovendo di conseguenza fronteggiare, nel tempo, una serie di criticità.

A scopo esemplificativo, il percorso valutativo della CTS (Commissione Tecnico Scientifica) nel corso dell’ultimo mese può essere distinto in tre diverse fasi.

Nella prima fase le proposte di studio clinico riflettevano principalmente la necessità di individuare rapidamente possibili soluzioni terapeutiche (spesso per pazienti in condizioni cliniche gravi), trasformando di fatto la partecipazione ad uno studio clinico in una opportunità terapeutica.

Durante tale fase sono stati autorizzati (e a volte sollecitati) studi non randomizzati.

Il primo e più importante esempio è quello dello studio TOCIVID, i cui principali obiettivi erano da un lato la raccolta di informazioni di efficacia e sicurezza su un trattamento sul quale si erano create molte aspettative e per il quale esisteva comunque un razionale sufficientemente convincente, e dall’altro quello di evitarne un uso non controllato (in una sola settimana erano state utilizzate 600 dosi di tocilizumab senza seguire un preciso protocollo di trattamento).

A dimostrazione della importante necessità di trovare soluzioni terapeutiche, lo studio TOCIVID ha completato l’arruolamento in poche ore.

In questa stessa fase e con lo stesso obiettivo la CTS ha autorizzato a carico del SSN trattamenti off label di farmaci teoricamente promettenti, seppure ancora non supportati da consistenti prove di efficacia su COVID19, quali idrossiclorochina e lopinavir/ritonavir.

A questa ha fatto seguito una seconda fase in cui la CTS ha progressivamente cercato di favorire gli studi randomizzati controllati con l’obiettivo di rispondere in modo più stringente ai quesiti clinici. Sempre relativamente al caso tocilizumab, ad esempio, in questa fase è stato approvato un nuovo studio randomizzato controllato che confronta l’efficacia del farmaco verso la terapia di supporto.

È poi subentrata una terza fase, quella attuale, nella quale stiamo assistendo ad un ulteriore cambiamento, e cioè alla proposta di studi randomizzati controllati in cui il braccio di controllo non è più rappresentato dalla terapia di supporto, ma consiste in uno “standard di cura” consistente nella combinazione di due o più farmaci ormai entrati nell’uso terapeutico.

Si tratta di schemi a base di idrossiclorochina associata a lopinavir/ritonavir e/o a vari antibiotici e ad altri trattamenti via via introdotti in modo empirico nella pratica clinica per i quali, a fronte di dubbi sulla sicurezza quando usati in associazione, sono spesso disponibili solo limitatissimi dati di efficacia di natura aneddotica o su piccole coorti di pazienti.

Allo scopo di regolare l’uso di alcuni di tali farmaci la CTS ha pubblicato delle schede informative definendo specifiche linee di indirizzo terapeutico ed evidenziando i rischi e le avvertenze d’uso.

In questa terza fase è quindi emerso con chiarezza il problema di come definire il trattamento “di controllo” per i farmaci in studio, non essendo disponibile -in realtà- alcun trattamento di provata efficacia, ma essendo allo stesso tempo poco proponibile, nella pratica clinica, la somministrazione della sola terapia di supporto. In altri termini ci si è trovati a dover decidere cosa accettare come standard di cura.

Pur non ritenendo opportuno imporre uno specifico protocollo di trattamento ai diversi centri clinici, la CTS rileva la criticità di considerare “standard di cura” i numerosi e differenti schemi terapeutici in uso empirico nelle varie realtà cliniche (che configurano, oltretutto, una serie di standard di cura locali). Inoltre, da un punto di vista metodologico, si determina una difficoltà di valutare in maniera accurata come l’aggiunta di un farmaco sperimentale ad uno o più farmaci la cui efficacia e sicurezza non sono ancora note possa fornire informazioni certe sul farmaco sperimentale in oggetto.

Sulla base di tali considerazioni si ritiene opportuno richiamare l’attenzione dei proponenti ad una valutazione attenta del trattamento di controllo, definendolo in maniera corretta rispetto alla specifica fase di malattia e tenendo in considerazione le raccomandazioni riportate nelle schede AIFA sui farmaci.

Il problema di cosa considerare come standard di cura ha implicazioni anche sugli studi osservazionali sui farmaci per COVID-19, in quanto per poter definire uno studio osservazionale è necessario che la prescrizione del farmaco o dei farmaci in esame sia parte della normale pratica clinica, e che tali farmaci siano utilizzati nelle indicazioni e/o durate di trattamento e dosaggi approvati dalle Autorità regolatorie (nel caso specifico, che siano utilizzati in accordo a quanto previsto nelle schede informative predisposte dall’AIFA per i trattamenti in corso di COVID-19).

Si stabilisce pertanto che studi che si discostano dalla normale pratica clinica perché utilizzano combinazioni di farmaci diverse e/o durate di trattamento o dosaggi sostanzialmente diversi da quelli previsti dalle schede informative di AIFA non potranno essere considerati osservazionali.

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