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Defibrillatori ovunque e in tutte le strutture pubbliche: passa il disegno di legge “Salvavita”

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Sono migliaia le persone in Italia che muoiono per arresto cardiaco in assenza di soccorso immediato. Il Del Salvavita permetterà a tutti di accedere all’uso del Defibrillatore semi-automatico.

Troppi morti in Italia per il non tempestivo avvio delle manovre di Rianimazione Cardiopolmonare e il non utilizzo del Defibrillatore semi-automatico per mancanza di personale sanitario e laico opportunamente formato. Per questo motivo è nato il disegno di legge “Salvavita” che inizia il suo percorso alla Camera dopo l’approvazione all’unanimità in Commissione Sanità. A illustrare il testo composto da 9 articoli sarà la deputata nuorese del M5s Mara Lapia, che ha elaborato il ddl insieme a Giorgio Mulé di Forza Italia, relatore di minoranza. Si tratta di un testo che nasce già forte perché mette d’accordo maggioranza e opposizione e rappresenta la sintesi di 8 proposte, presentate da altrettanti partiti, sul delicatissimo tema. «Abbiamo esaminato tutte le proposte, inserito alcuni emendamenti e novità – spiega la Lapia – che hanno rafforzato il testo base».

Defibrillatori obbligatori. Protagonisti del disegno di legge sono i defibrillatori, apparecchi salva vita da utilizzare in caso di attacco cardiaco per la rianimazione del paziente in attesa dei soccorsi medici: grazie all’intervento immediato è possibile salvare la vita ed evitare danni cerebrali. Purtroppo l’utilizzo del defibrillatore è ancora poco diffuso: una grave mancanza alla quale il disegno di legge Lapia-Mulè intende rimediare obbligando tutti gli enti pubblici a dotarsi dello strumento. «Intendiamo uffici comunali, ministeriali, ma anche scuole, condomìni abitati da almeno 16 famiglie, stazioni ferroviarie, aeroporti, navi e aerei con percorrenza superiore alle due ore – spiega Mara Lapia – e anche i mezzi di trasporto extraurbano. Pensiamo alla Sardegna, dove i tempi di percorrenza sull’autobus sono mediamente lunghi, ai tanti ragazzi che utilizzano i pullman per andare a scuola e agli anziani che viaggiano sui mezzi pubblici per recarsi in ospedale. La presenza di un defibrillatore a bordo è importante».

Risorse e sgravi. L’obbligatorietà sarà estesa anche alle società sportive, agonistiche e non, con una importante differenza. «Per gli uffici e enti pubblici il governo interverrà con un contributo: abbiamo preventivato lo stanziamento di 4 milioni di euro per il 2020 e 2 milioni per gli anni a seguire sino al 2025. I privati dovranno pagare il defibrillatore di tasca loro – il costo oscilla dai 700 ai 1000 euro – ma tutti, pubblici e privati, avranno uno sgravio dull’Iva che sarà fissata al 5%».

Corsi a scuola. Altra novità importante «sarà l’introduzione di una app che consentirà a chi la scaricherà di sapere dove si trova, in caso di necessità, il defibrillatore più vicino». Ancora: «È stato dimostrato grazie a numerose audizioni in commissione che chi utilizza il defibrillatore non provoca alcun danno al paziente. Il sistema è semplice, per questo non è fondamentale avere fatto un corso di formazione specifico. I corsi saranno fatti e interesseranno i ragazzi delle scuole dell’obbligo ma in questo momento è più urgente fare in modo che cresca il numero di strumenti in circolazione, per intervenire subito in caso di necessità».

Sanità nel caos. Il fattore tempo è un elemento che ritorna spesso nel discorso della deputata Lapia. Anche a proposito della travagliata situazione della sanità in Sardegna. «Ho appreso con sconcerto che a Sassari vengono rinviati gli interventi alle donne malate di tumore al seno. È assurdo, perché il cancro non aspetta, va combattuto subito». E poi: «Le liste d’attesa in Oncologia non devono esistere, invece in Sardegna si allungano perché mancano le sale operatorie e i medici: alcuni reparti chiuderanno “per ferie” e questo non è normale». Poi l’affondo: «Con il decreto Calabria abbiamo sbloccato il turn over e fatto ripartire una sanità finita a pezzi per colpa di una gestione sbagliata. Anche in Sardegna si possono e si devono fare assunzioni. Perché non si mandano via i manager incapaci e al loro posto si chiamano medici bravi? Ce ne sono tanti sottoutilizzati che potrebbero essere utilissimi. Invece in Sardegna che succede? Dopo il fallimento dell’Ats e della riforma Arru-Moirano si chiama un commissario altoatesino che dove ha lavorato in precedenza – vedi proprio la Calabria – ha lasciato un pessimo ricordo, per non dire altro. E ora lo chiamiamo in Sardegna: perché, se abbiamo tanti bravi professionisti sardi che conoscono bene la situazione e sanno come e dove intervenire?». Poi l’appello all’assessore regionale Nieddu: «Non parli solo con i dirigenti, vada in giro nei reparti, scopra le cose che non vanno. La faccia la rivoluzione della sanità, perché i pazienti sardi sono stanchi di aspettare”.

Fonte: La Nuova SassariAssoCareNews.it

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