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Cure Palliative. Serve ripensare e potenziare il sistema contingente delle cure.

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Si parla sempre più frequentemente di eutanasia, di fine vita, di vuoto normativo, e se potenziassimo le cure palliative invece?

Le cure palliative non rappresentano un suicidio assistito e nemmeno l’eutanasia.

Rappresentano un modello di cura dedicato ai pazienti in fase terminale volto ad abbattere o ridurre tutto il corredo sintomatologico che amplifica il
malessere psicofisico del paziente e dei suoi familiari: vuol significare curare chi spesso non può essere guarito!

L’espressione “cure palliative” deriva dal latino “pallium” (mantello) ed indica l’attenzione olistica alla persona malata considerata come portatrice non esclusivamente di bisogni fisici ma anche spirituali, psicologici e socio-culturali.

“Per cure palliative si intende l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici” (Legge 38/2010 art. 2) La filosofia sottesa alle cure palliative è proprio loquella di non cercare di allontanare la morte che sopraggiunge, ma di accettarla e accompagnarla come un evento che fa parte della storia di
una vita. È un estremo atto di cura della persona accompagnarla nell’ultimo tratto della sua esistenza, mantenendo sino alla fine la migliore qualità di vita possibile.. Non solo, quindi, bisognerebbe evitare ogni forma di accanimento e di interventi che inchiodano il malato alla sua sofferenza o, addirittura, ne aggiungono, ma sarebbe auspicabile impegnarsi nell’eliminazione della sofferenza sino alla scelta estrema della sedazione profonda o palliativa quando il paziente presenta sintomi refrattari ai trattamenti. Le cure palliative possono essere erogate a domicilio, negli ospedali e negli hospice. Purtroppo non è presente una rete di cure omogenea su tutto il territorio nazionale. Spesso mancano centri di formazione specifica per medici ed infermieri e latita una campagna informativa nazionale capillare che informi i cittadini del diritto di avvalersene. Quando si tratta di argomenti come il “fine vita” credo che astenersi da un eventuale giudizio sia doveroso, si tratta di situazioni in cui e’ difficile formulare giudizi di condanna o di assoluzione, cioe’ entrare subito nel merito di un comportamento, di una scelta. Ci sono individui che di fronte alla sofferenza non vedono altra scelta che il desiderio di porre fine alla propria esistenza e chi invece desidererebbe affrontare il percorso di malattia e di fine vita preso in carico olisticamente ed accompagnato nel modo più sereno ed indolore possibile. Di fronte a scelte cosi’ delicate sul piano etico ed esistenziale, scelte che coinvolgono la persona col suo dolore, con la sua visione del mondo, con la sua fede o con l’assenza di essa, bisogna essere molto prudenti prima di formulare giudizi piu’ o meno avventati. Quello che credo sia importante sottolineare è l’importanza dell’’etica dell’accompagnamento nel dibattito sulla fine vita.

Le cure palliative si rivolgono maggiormente a quelle persone che più di tutte sono esposte al dolore intenso della malattia e tra le quali sarà quindi più frequente riscontrare il desiderio di porre fine alla propria vita come vera e propria via di uscita.

Ciò non contraddice l’importanza delle cure palliative come “alternativa possibile”. E’ anzi, proprio per queste persone che le cure palliative palliative può rivelarsi fondamentale, liberando la persona dal costringimento dell’alternativa tra il “vivere soffrendo” o il “morire”.

Proprio in suddetti casi, l’erogazione compiuta e diffusa delle cure palliative può senz’altro rappresentare una vera e propria rivoluzione rispetto all’etica medica tradizionale, ed essere il contesto nel quale molto si può fare perché venga preservata, la dignità del fine vita.

Questo all’unica condizione di coniugare l’impegno per il sollievo della sofferenza con il riconoscimento imprescindibile delle valutazioni del malato. Non si vuole avere la presunzione di conoscere la “via maestra” per il fine vita migliore, ma sicuramente un paziente informato e consapevole delle cure alle quali accedere è un paziente che può autodeterminarsi.

Dott. Riccardo Merendi
Dott. Riccardo Merendihttps://www.assocarenews.it/
Infermiere ed Antropologo Culturale, Ufficiale del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana. Laurea in Infermieristica, Master (UNIBO) in Coordinamento delle Professioni Sanitarie, Laurea Magistrale in Antropologia Culturale ed Etnologia. Attualmente in servizio presso DSP Igiene e Sanità Pubblica Asl della Romagna sede operativa di Forli.
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