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Coronavirus. Infermieri sempre al servizio del Paese, ma la politica cessi di ignorare la categoria.

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Emergenza Coronavirus. DPCM COVID-19: “Infermieri al servizio del Paese, ma anche le Istituzioni ci sostengano con i fatti”. La categoria attrice principale dell’assistenza, ma anche principali attori per l’attuazione delle misure emergenziali del Governo e “vittime” potenziali di situazioni che queste possono creare.

L’ultimo decreto del presidente del Consiglio dei ministri pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale assegna agli infermieri (nominati come “operatori della sanità pubblica”, ma è sotto gli occhi di tutti che accanto ai medici per la diagnosi e la terapia gli infermieri sono i professionisti che garantiscono l’assistenza) assegna compiti fondamentali come quelli, dopo la comunicazione telefonica e l’accertamento del sospetto di contagio, di accertare l’assenza di febbre o altra sintomatologia del soggetto da porre in isolamento e degli altri eventuali conviventi; informare la persona dei sintomi, le caratteristiche di contagiosità, le modalità di trasmissione della malattia, le misure da attuare per proteggere gli eventuali conviventi in caso di comparsa di sintomi; informare la persona sulla necessità di misurare la temperatura corporea due volte al giorno (la mattina e la sera).

E, come recita il Dpcm, “l’operatore di sanità pubblica provvede a contattare quotidianamente, per avere notizie sulle condizioni di salute, la persona in sorveglianza” per far scattare nel caso la macchina della diagnosi e dell’assistenza di cui ancora gli infermieri sono i responsabili a livello domiciliare, anche rispetto all’attività di informazione ai pazienti a domicilio per isolamento.

È sotto gli occhi di tutti – sottolinea la Federazione nazionale degli ordini delle professioni sanitarie (FNOPI) – come anche riportano le cronache, la mole di lavoro e i rischi che la nostra categoria professionale sta affrontando ogni giorno a testa alta e nella piena consapevolezza dei suoi doveri e del valore della sua professione.

Ma deve essere altrettanto chiaro – prosegue la Federazione – che le istituzioni, proprio con l’infittirsi degli interventi, devono provvedere prima di tutto a maggiori garanzie di presidi di protezione dal virus per ‘gli operatori della sanità pubblica’ di cui però il Dpcm non parla in modo esplicito e che invece sappiamo essere uno degli aspetti più critici di questa situazione.

E non si deve dimenticare che il decreto sospende i congedi ordinari del personale sanitario e tecnico (gli operatori sociosanitari) e del personale le cui attività siano necessarie a gestire le attività richieste dalle unità di crisi costituite a livello regionale, un’occasione in più di stress, anche se già oggi per garantire assistenza nessun infermiere si è mai tirato indietro. un contributo importante e da valorizzare vista la scelta opposta fatta nei confronti di chi non lavora in sanità ai cui datori di lavoro il decreto raccomanda giustamente di favorire la fruizione di periodi di congedo ordinario o di ferie.

Ma ci sono altri problemi che rischiano di emergere. Il divieto agli accompagnatori dei pazienti di restare nelle sale di attesa dei dipartimenti emergenze e accettazione e dei pronto soccorso (salvo specifiche diverse indicazioni del personale sanitario) e la limitazione dell’accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalità e lungo degenza, residenze sanitarie assistite, hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per anziani, autosufficienti e non, solo a casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura per prevenire possibili trasmissioni di infezione, potrebbero essere un motivo in più per scatenare in molti casi la violenza contro gli operatori sanitari, ancora una volta infermieri in testa. Anche su questo aspetto il silenzio del decreto riguardo alle misure a tutela degli operatori è assordante.

L’89,6% degli infermieri – in prima linea ad esempio nel triage ospedaliero che “accoglie” i pazienti e li smista nella struttura con tempi spesso lunghi non dovuti però alla professionalità dell’operatore, ma all’organizzazione – è stato vittima, secondo una ricerca condotta dall’università di Tor Vergata di Roma, di violenza fisica/verbale/telefonica o di molestie sessuali da parte dell’utenza sui luoghi di lavoro.

Le attese stressanti in pronto soccorso – spiega la FNOPI – sono considerate come una delle prime cause scatenati della violenza, immaginiamo ora che evoluzione potrebbero avere con il divieto di restare accanto alla persona che ha bisogno di assistenza sanitaria.

Per questo l’emergenza straordinaria  e indiscutibile legata a COVID-19, oltre a tutte le necessarie misure di protezione degli operatori dal virus,  non deve far dimenticare altri provvedimenti, come quello contro la violenza sugli operatori ai quali in questo caso è richiesto un impegno che va al di là delle proprie forze e che rischia anche di dare come contropartita una ulteriore occasione di stress e di pericolo in più prima di tutto per i professionisti, ma anche per l’assistenza ai pazienti.

Colpiscono – conclude la Federazione degli infermieri – i molti attestati di stima nei confronti dei professionisti sanitari impegnati in questa emergenza, definiti come eroi. Tutto molto bello. Ma oltre alle dichiarazioni ora servono fatti concreti per salvaguardare anche la salute e la sicurezza di tutti gli operatori della sanità.

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