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Competenze Infermieristiche: dal saper come fare all’essere in grado di fare.

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Competenze Infermieristiche: dal saper come fare all'essere in grado di fare.

Due passaggi fondamentali per diventare veri professionisti sanitari

Il passaggio ineludibile degli ultimi anni in tutte le organizzazioni è passare da competence at work a working with competencies; vale a dire da “competenza al lavoro” a “lavorare con le competenze“, che non significa “avere le competenze per lavorare” ma bensì “saper lavorare con le competenze“.

Tutto ciò è possibile se le persone sono in grado di riconoscere le competenze, capirle, sperimentarle, valutarle, utilizzarle, comunicarle, applicarle nel lavoro e, più in generale, nella vita di tutti i giorni, per rendere l’individuo, come afferma enfaticamente qualche autore[1], capace di divenire imprenditore di se stesso nella propria carriera personale e lavorativa.

Per le organizzazioni, apprendere le metodiche delle competenze significa imparare a definire modelli da applicare nella gestione e sviluppo delle risorse umane, rapportandosi alle strategie e agli scenari in cui esse si muovono, favorendo quindi negli attori interessati l’acquisizione di abilità nuove in uno spazio di confronto assai arduo per loro, trattando con molte variabili psicologiche e sociali con cui da sempre hanno scarsa dimestichezza.

Diviene fondamentale per le persone e per le organizzazioni essere in grado di sviluppare la “competenza di lavorare con le competenze” definendo forme e strumenti per un sistematico “bilancio di competenze”.

Fornire una definizione univoca di competenza è abbastanza difficile, e ciò che oggi significa “essere competenti”, domani sarà gia cambiato (Zanzara, 1993).

Il dizionario Zingarelli definisce competenza come “qualità di chi è competente” ovvero “che ha la capacità di compiere una data attività, svolgere un dato compito”.

Argyris definisce competente “chi è capace di progettare e realizzare corrispondenze tra intenzioni e risultati dell’azione, e di scoprire e correggere gli errori e le eventuali mancate corrispondenze”.

Bandura (1990) fornisce un’interpretazione più psicologica della competenza che implica, a suo avviso, una capacità generativa dove abilità cognitive, sociali, e comportamentali devono essere organizzate ed effettivamente orchestrate al servizio di innumerevoli scopi/obiettivi. C’è una netta differenza tra il possedere conoscenze e abilità e il loro uso in modo competente in circostanze diverse, il più delle volte caratterizzate da elementi di ambiguità, imprevedibilità e di forte stress. La competenza diviene quindi una costruzione sociale e non una caratteristica stabile che una persona possiede o non possiede nel proprio repertorio comportamentale. Le persone spesso forniscono prestazioni inferiori rispetto al fornire una prestazione ottimale anche se conoscono bene quello che devono fare e posseggono le capacità per farlo.

L’ISFOL[2](1995) definisce la competenza come “il patrimonio complessivo di risorse di un individuo nel momento in cui affronta una prestazione lavorativa o il suo percorso professionale. E’ costituita da un mix di elementi, alcuni dei quali hanno a che fare con la natura del lavoro e si possono quindi individuare analizzando compiti e attività svolte; altri invece (es. motivazione, capacità di comunicazione, capacità di problem solving) hanno a che fare con caratteristiche “personali” del soggetto-lavoratore che si mettono in gioco quando un soggetto si attiva nei contesti operativi”.

Le Boterf (1994, 1997), invece, dichiara che “la competenza non è uno stato od una conoscenza posseduta. Non è riducibile né a un saper, né a ciò che si è acquisito con la formazione. […] La competenza non risiede nelle risorse (conoscenze, capacità..) da mobilizzare, ma nella mobilizzazione stessa di queste risorse. […] Qualunque competenza è finalizzata (o funzionale) e contestualizzata: essa non può dunque essere separata dalle proprie condizioni di “messa in opera”. […] La competenza è un saper agire (o reagire) riconosciuto. Qualunque competenza, per esistere, necessita del giudizio altrui”..

David McClelland definisce la competenza come “una caratteristica intrinseca individuale, causalmente collegata a una performance efficace o superiore in una mansione o in una situazione che è misurata sulla base di un criterio prestabilito”.

Gli studi di questo autore, insieme a Boyatzis e Spencer, sono tesi a dimostrare che, tra le persone che forniscono prestazioni eccellenti rispetto a chi fornisce prestazioni medie, ci sono differenze non solo in termini di maggiori conoscenze da parte dei primi, ma anche il possesso di particolari caratteristiche che ne determinano il successo. Tali caratteristiche sono appunto definite competenze.

La competenza assume quindi il significato di una caratteristica intrinseca alla persona causalmente collegata a una prestazione superiore in un determinato ruolo.

Alla base della definizione della competenza contribuiscono quindi, in misura differente, motivazioni, tratti della personalità, valori, interessi, abilità e conoscenze.

Il metodo delle competenze (competency based approach) analizza in primo luogo il successo nella prestazione e risale alle caratteristiche che lo hanno determinato: in sintesi chi possiede queste caratteristiche svilupperebbe una prestazione di livello superiore rispetto a una prestazione media.

Le competenze contengono sempre un’intenzione, che rappresenta la forza della motivazione o del tratto che da origine a un’azione che tende a raggiungere un risultato. La persona deve avere la volontà e l’intenzione di porre in essere l’azione e la deve compiere effettivamente. Il problema risulta quindi essere quello di creare condizioni organizzative e gestionali che favoriscano e incoraggino il porre in essere e il consolidarsi di comportamenti di successo.

E’ in questo campo che un coordinatore infermieristico può e deve spendere le proprie competenze per favorire lo sviluppo e la crescita delle competenze dei propri collaboratori.

Un autore docente alla Manchester Business School, Sparrow, si pone interessanti quesiti sulle competenze e cioè: “Ci sono generiche competenze o competenze specifiche in un’organizzazione? Sono apprendibili e sviluppabili o discriminatorie e selezionabili?”. 

L’autore identifica tre approcci:

  1. Management competence (le competenze vengono descritte eidentificate tramite l’analisi funzionale delle responsabilità e dei job);
  2. Behavioural competence (le competenze sono considerate come soft skill associate a motivazione, tratti, abilità, immagine di sé, ruolo sociale e corpo di conoscenze);
  3. Core competencies organizzative (si collegano alcune competenze “chiave” alla strategia e al core business di una data organizzazione, competenze che si uniscono ad aspetti organizzativi, stili di conduzione, valori dell’organizzazione, alle corporate skills[3]).

Le competenze possono essere raggruppate in tre macrocategorie:

  • Competenze di baseinsieme di competenze (informatiche, linguistiche, organizzative, legislative e normative, relativi a contesti e settori lavorativi) non specifiche di un contenuto lavorativo, che appaiono cruciali per il cittadino-lavoratore e sono ritenute consensualmente “pre-requisito” per l’accesso alla formazione e per una migliore occupabilità e crescita professionale;
  • Competenze tecnico-professionali quelle conoscenze (le informazioni e i “saperi” tecnici) e quelle abilità tecniche e operative specifiche di un dato lavoro che sono ricavabili dall’analisi delle attività che caratterizzano i processi lavorativi di riferimento;
  • Competenze trasversali quelle competenze essenziali al fine di produrre comportamenti professionali in grado di trasformare un “sapere” tecnico in una performance lavorativa e organizzativa efficace.

Non è possibile analizzare il sistema di competenza di un soggetto senza osservare la sua attività e il contesto in cui agisce, in quanto non va dimenticato che la competenza agita è influenzata anche dal controllo esercitato dal soggetto sul proprio comportamento cognitivo ed operativo. La padronanza della lingua, comprendere le esperienze, conoscere e sviluppare il proprio repertorio di competenze, deriva così dalla consapevolezza del soggetto sui propri processi di comprensione, memorizzazione, apprendimento.

Non è quindi sufficiente il “sapere” perché esista la competenza. Il sapere va agito nel momento giusto, nel posto giusto, nel modo giusto. La competenza diviene allora una sapere contestualizzato; ne segue che il contesto ha il potere di determinare l’efficacia della competenza.

Si possono altresì distinguere competenze personali e competenze professionali. Le prime sono sia quelle esercitate ed esercitabili in situazioni extralavorative, e comprendono tutto il patrimonio di conoscenze, abilità, atteggiamenti, interessi, attitudini, ecc, dell’individuo; comprendono quindi anche quelle professionali. Le competenze professionali hanno origine nei contesti formativi e/o lavorativi ed appartengono ad un sistema più o meno codificato di contesti disciplinari e di aree professionali.

Per competenza professionale si possono intendere una combinazione di:

  • conoscenze teoriche legate al sapere disciplinare selezionato in base a quanto è necessario per lavorare, pratiche legate al contesto in cui si opera e ai collaboratori;
  • capacità che si esprimono secondo una logica di processo, dove si evidenziano tre fasi consecutive: il prima dove si analizza, il durante dove si attua, il dopo in cui si valuta;
  • caratteristiche individuali che portano un valore aggiunto alla prestazione, che non sono riconducibili totalmente alle conoscenze o alle capacità, legate invece alla personalità, intelligenza, immagine di sé, esperienza.

Questa combinazione di fattori che interagiscono fra loro è ulteriormente influenzata dalla motivazione, la spinta ad agire, e dalla volontà, il compimento dell’azione, con lo scopo finale di esprimere prestazioni adeguate al contesto in cui si viene ad operare.

La competenza non può essere considerata data una volta per tutte, ma evolve e richiede aggiornamento e manutenzione, anche perché la competenza professionale, all’interno del rapido e progressivo mutamento del sistema produttivo, sociale, economico e tecnologico, rischia di divenire obsoleta se non si possiedono meta-competenze complesse che permettono l’adattamento al nuovo, al cambiamento, alla complessità.

L’analisi delle competenze deve oscillare tra una dimensione oggettiva (contesto, processi, compiti, tecnologie, informazioni) e una dimensione soggettiva (risorse personali, motivazioni, tratti di personalità, potenzialità cognitive e relazionali, immagine di sé, conoscenza e abilità).

Le competenze richiedono di essere comunicate, tra le persone e l’organizzazione, interorganizzativamente e intraorganizzativamente, e per fare ciò, devono essere identificate e si devono trovare comuni significati.

L’approccio per competenze è possibile laddove ci siano organizzazioni che valorizzano la persona, le sue conoscenza, la sua cultura e il suo apprendimento, e, faccia sì che, insieme a tutti gli altri membri dell’organizzazione, le competenze dei singoli diventino conoscenza, cultura e apprendimento organizzativo.

Quanto appena scritto risulta essere l’aspetto da presidiare se si vuole realmente realizzare cambiamento organizzativo e anche cambiamento personale in ogni individuo, attivando percorsi di apprendimento teorico-esperenziale, dove la formazione viene ad occupare un ruolo determinante e fondamentale. 

[1]Bridges, 1997

[2]ISFOL  Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori

[3] Mix di fattori che connota l’organizzazione, nei suoi comportamenti, nei suoi valori, nel “suo” stile, in ciò che la caratterizza per un determinato successo.

Dott.ssa Barbara Leccisi
Dott.ssa Barbara Leccisi
Infermiera, ama la scrittura e la lettura, come pure la ricerca scientifica e l'arte.
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