Ci scrive Letizia Caselli di Amnesty International Italia: “anziani non autosufficienti in RSA: in Italia controlli-bidone. A rimetterci Infermieri, OSS e Pazienti”.
Egr. Direttore,
il 9 di maggio scorso ho tenuto una relazione in Senato per parlare in particolare della situazione degli anziani non autosufficienti in Rsa e ho accennato anche alla situazione degli operatori sanitari e socio-sanitari. I primi ci vivono in queste strutture e gli altri ci lavorano.
Amnesty International Italia aveva evidenziato in due dossier la condizione estrema di entrambi, specie durante la pandemia nel biennio 2020-2021: condizione di deprivazione dei diritti umani e della dignità da una parte e condizione di pressione per condizioni lavorative inadeguate e di sfruttamento a vario livello, troppo spesso con tempistiche di cura assolutamente insufficienti imposte dai gestori e non consoni ai LEA e non solo. Tempistiche che rispondono sovente ad una stretta logica di business d’impresa e di risparmio all’osso.
Nel 2022 tutto é peggiorato e in un modo totalmente disumanizzante, senza alcun intervento da parte in primis dello Stato, poi delle Regioni, delle Province e dei Comuni.
Vorrei precisare alcune cose (Rsa e parenti).
Le Rsa: la cui titolarità fa capo al Servizio sanitario nazionale e regionale, in base al sistema di accreditamento, agiscono a nome e per conto di esso (legge 833/1978, d.lgs 502/1992 e DPCM 2 gennaio 2017). Diventano perciò concessionarie pubbliche a tutti gli effetti.
Non esistono tuttavia controlli pubblici sulle Rsa: se non con un preavviso di visita a volte, mi si riferisce, anticipato addirittura di 15 giorni. Victor Castanet, il giornalista che ha fatto aprire un’inchiesta parlamentare in Francia, ha parlato a tale proposito per le residenze francesi, di “controlli-bidone”.
I familiari: benché non ci siano ad ora emergenze pandemiche, non possono entrare in struttura 7 giorni su 7 come prescritto dalla Legge, cfr. ultimo Decreto-Legge aperture valido sino al 31 dicembre 2022. I familiari non possono entrare nelle stanze, non possono verificare come e dove vivono i loro cari e come stanno. Ma non sono carceri di massima sicurezza.
Le notizie uscite sui giornali in questo periodo: direi ogni giorno, di anziani lasciati morire di fame e di sete, alimentati con cibi scaduti come i farmaci, quando va bene, rendono un inferno anche la vita dei parenti, relegandoli ad una perenne inquietudine.
È evidente che ci sono anche Rsa virtuose, ma si colgono con difficoltà.
Attraverso ricerche e testimonianze dirette di familiari dal Nord al Sud del Paese raccolte da me e da altre associazioni si evince che:
I parenti se chiedono notizie o spiegazioni alle direzioni sanitarie (quando ci sono) sulla condizione dei loro cari (più che legittimo visto che pagano una retta, a cui corrisponde un servizio) troppo spesso sono minacciati direttamente o indirettamente. Conosco persone che sono state denunciate per diffamazione e ridotte al lastrico da un esercito di avvocati.
Mi si dice che alcuni gestori telefonino direttamente a casa dei parenti con lusinghe o minacce di buttare fuori i degenti, cosa che per le strutture accreditate non é legalmente possibile.
Quando i parenti rilasciano qualche testimonianza ai media parlano in modo anonimo – come gli operatori sanitari e socio sanitari – e se ripresi in TV attraverso voce modificata o nuvoletta sul viso come i testimoni di giustizia. Ma non sono protetti.
In conclusione.
Bisogna domandarsi se questa é la società che vogliamo offrire alle nuove generazioni, e se é questo il trattamento che noi vorremmo ricevere quando diventeremo anziani.
Perché tutti diventeremo anziani, secondo la legge immodificabile della natura.
Bisogna domandarsi infine se tutti, a prescindere dal ruolo e funzione specifica dentro il sistema Rsa, vogliono sentirsi anziché “vittime” o “carnefici”, persone e professionisti con ruoli ben precisi che vengono invece continuamente confusi.
Persone prima di tutto in grado di denunciare queste disumanizzazione e violazione dei diritti umani, per diventare protagonisti di un cambiamento, possibile se si comincia tutti insieme a proporlo. È un problema di numeri e di forze e di visibilità. Un problema che c’é, se non staremo a parlarne, anche se non si può parlare apertamente perché si ha paura.
Come lottare con l’invisibile? Scoprendo con un atto di coscienza e di coraggio collettivo il telo pesante sulla statua, che copre spesso anche le nostre coscienze”.
Dott.ssa Letizia Caselli
Difensore dei diritti umani di Amnesty International Italia e promotrice del Comitato Parenti Residenza Paradiso Ferrara