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Alzheimer e Infermieri: ecco come prendersi cura di chi ne è affetto.

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? Alzheimer: prendersi cura di chi ne soffre è una delle chiavi di volta dell’assistenza infermieristica diretta alla persona più che alla malattia.

Alzheimer: guardare alla persona e non alla malattia. “E’ Un principio della Federazione nazionale Alzheimer che rientra in pieno nell’essere infermiere”, sottolinea Nicola Draoli, componente del Comitato centrale della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) al think thank sull’”altro volto” di questa forma di demenza al Meeting Salute in svolgimento a Rimini dal 19 al 24 agosto.
“Il rapporto con l’assistito, al di là della sua malattia, fa parte del nostro DNA e rientra a tal punto nell’agire quotidiano degli infermieri che il nostro nuovo Codice deontologico detta che in questo ‘l’Infermiere stabilisce una relazione di cura, utilizzando anche l’ascolto e il dialogo. Si fa garante che la persona assistita non sia mai lasciata in abbandono coinvolgendo, con il consenso dell’interessato, le sue figure di riferimento, nonché le altre figure professionali e istituzionali. Il tempo di relazione è tempo di cura’: mai lasciare solo nessun paziente quindi, a prescindere dalla sua patologia. E soprattutto, in questo caso, cercare una relazione diretta che sia per lui davvero una cura”.

Un percorso che, sempre il Codice deontologico, contribuisce a mirare meglio sulla tipologia di pazienti che soffrono di Alzheimer quando dice all’articolo 21 che “l’Infermiere sostiene la relazione con la persona assistita che si trova in condizioni che ne limitano l’espressione, attraverso strategie e modalità comunicative efficaci”.
La demenza riguarda 50 milioni di persone in tutto il mondo, dove ogni 3 secondi una persona viene colpita. Il numero di persone con demenza, e principalmente Malattia di Alzheimer, dovrebbe triplicare nei prossimi 40 anni.

In Italiacirca 1 milione di persone sono affette da demenza e circa 3 milioni sono direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari. A preoccupare sono anche gli alti costi: nel 2018, la demenza diventerà nel mondo una malattia da mille miliardi di dollari.

Non solo, attualmente solo 29 dei 194 Stati membri dell’Oms che ha sviluppato un suo piano globale sulla demenza 2017-2025, la metà dei quali in Europa, hanno sviluppato un piano sulla demenza.

La demenza richiede l’attivazione di una qualificata rete integrata di servizi sanitari e sociosanitari e, accanto all’assistenza, va ricordata la prevenzione testimoniata da numerose evidenze scientifiche che individuano alcuni fattori di rischio modificabili associati all’insorgenza della demenza di Alzheimer quali il diabete, l’ipertensione in età adulta, l’obesità in età adulta, il fumo, la depressione, la bassa scolarizzazione, l’inattività fisica.

È stato calcolato che riducendo del 10% o del 25% ognuno di questi fattori di rischio si potrebbero prevenire da 1,1 a 3,0 milioni di casi di demenza di Alzheimer.

L’Italia ha dal 2014 il suo Piano nazionale, ma ancora senza fondi specifici per implementare le aree di intervento, carenza questa che lo lascia ancora in stallo rispetto alle misure contenute.

“L’assistenza a questo tipo di persone – spiega Draoli – così come per tutte le cronicità e le patologie caratteristiche delle età più avanzate (in un paese come il nostro, che invecchia rapidamente, le stime sono ancora più allarmanti, essendo l’età il principale fattore di rischio associato alle demenze), assume una configurazione propria dell’assistenza infermieristica. La assume nella sua fase preventiva che ben si inserisce nei modelli territoriali di sanità d’iniziativa e dove esiste la figura dell’infermiere di famiglia e comunità che agisce proprio anche sui fattori di prevenzione della sua comunità di riferimento. Ma anche in ambito assistenziale nelle fasi più avanzate: mantenere la sicurezza fisica, ridurre l’ansia e l’agitazione, migliorare la comunicazione, promuovere l’indipendenza nelle attività quotidiane, provvedere ai bisogni di socializzazione e intimità, mantenere una alimentazione adeguata, gestire i disturbi del sonno, aiutare ed educare i familiari che assistono il paziente. Un volto diverso, appunto, dalla cura, che presuppone una vicinanza col paziente propria della nostra professione”.

“L’altro volto dell’Alzheimer – spiega Draoli – si chiama vicinanza, comprensione e umanità ma sempre con spiccate competenze proprie della disciplina infermieristica. Gli infermieri sanno inoltre bene che interventi di cura e presa in carico sono da estendersi alla famiglia che vive un momento difficile e spesso non del tutto compreso”.

“La malattia di Alzheimer – aggiunge Draoli – è una malattia che sconvolge tutti: le persone che ne sono colpite, le persone e gli affetti di riferimento della persona, che con loro hanno condiviso tanti pezzi di vita e che nella quotidianità le accompagnano in un lento e inesorabile declino, gli operatori che se ne prendono cura. È indispensabile comunicare con chi soffre di questa malattia, anche quando sembrerebbe ormai impossibile. Prendersi cura di loro perché nessun intervento tecnico ha successo se non è accompagnato da una abilità relazionale specifica che prevede una competenza molto elevata”.

Draoli spiega alcuni passaggi peculiari a cui l’infermiere deve prestare la massima attenzione: garantire attività assistenziali che si svolgano in modo uniforme e regolare; favorire l’indipendenza nella cura della propria persona secondo le capacità del paziente; stabilire e mantenere una relazione terapeutica con il paziente; attrarre e mantenere l’attenzione del paziente dando direttive semplici e precise per eseguire i vari compiti; limitare al massimo le barriere alla comunicazione; incoraggiare i rapporti con altre persone o gruppi; stimolare i ricordi nel dialogare con il paziente; coinvolgere i familiari in tutti gli aspetti del programma educativo usando l’insegnamento come un’opportunità per analizzare i ruoli, le risorse e i comportamenti del loro adattamento e fornirgli informazioni sui servizi dell’assistenza domiciliare infermieristica ed esortarli a utilizzare tutti i servizi disponibili.

“Questa, come molte altre che ormai caratterizzano un’assistenza mirata alle cronicità e alle patologie legate alla nuova epidemiologia della popolazione che invecchia – aggiunge Draoli – sono situazioni che richiedono un elevato livello di specializzazione. Gli infermieri ce l’hanno già, ma proprio per rendere il tutto una prerogativa mirata, la Federazione che li rappresenta sta sollecitando la realizzazione di percorsi specialistici veri e propri all’interno degli Atenei da cui sicuramente potranno trarre il massimo beneficio anche questo tipo di assistiti: un infermiere dedicato che li accompagni lungo l’arco della loro patologia è ciò di cui ha bisogno chi, più che essere assistito con i farmaci (o comunque non solo con questi dei quali l’infermiere verifica l’aderenza terapeutica attimo dopo attimo), può avere conforto ed esiti positivi soprattutto dagli interventi educativi, preventivi ed assistenziali propri della professione infermieristica”.

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