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Test ingresso Medicina e Chirurgia: 65.000 pretendenti per circa 16.000 posti. Perché tenere ancora il numero chiuso?

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Ieri il Test di ingresso alla Facoltà di Medicina e Chirurgia: 65.000 pretendenti per circa 16.000 posti. Perché tenere ancora il numero chiuso?

La Pandemia Covid non ha ancora insegnato nulla alla Politica e ai baroni delle Università. Ci sono sempre meno medici in circolazione in Italia e si continua con il numero chiuso agli accessi al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia. Ufficialmente perché gli Atenei italiani non sono in grado di gestire grossi flussi, di fatto il numero limitato resta un sistema ormai collaudato per controllare gli accessi (e non vogliamo aggiungere altro).

Programmazione in base alla capacità degli atenei, salvaguardia della qualità formativa e posti calcolati sulle esigenze a medio termine da ministero della Salute e dalle Regioni.

È questa la ratio che sta dietro la scelta dell’accesso a ‘numero chiuso’ per Medicina e per le facoltà a carattere scientifico, anche se puntualmente pure quest’anno si è riaperto il dibattito sulla necessità di rendere libero l’accesso, tema cavalcato anche in campagna elettorale.

La polemica si è rinnovata ieri, giorno in cui oltre 65mila candidati sono alle prese con la prova per accedere ai corsi di laurea di medicina e chirurgia e odontoiatria, ma a fronte di appena 15.876 posti disponibili. Lo riferisce l’agenzia di stampa AGI.

Una disparità non da poco ma, ricordano dal ministero dell’Università e della Ricerca, la strada tracciata tiene conto di molti fattori come la capacità degli atenei di poter accogliere un tot numero di studenti e anche di poter assicurare una formazione adeguata, oltre alla pianificazione sul medio termine del fabbisogno di medici e specializzandi tra una decina d’anni.

La stessa ministra Messa pochi giorni fa in un’intervista a Skuola.net ha spiegato: “Non abbiamo le forze per riuscire a formare tutti questi medici. Allora, o li fermi al primo anno oppure li fermi ancora prima che comincino”.

Nel mondo universitario non tutti sono d’accordo però. Gli stessi rettori sono su posizioni diverse anche se il presidente della Crui (Conferenza rettori università italiane) e rettore del Politecnico di Milano, Ferruccio Resta, rivendica: “Sul test di Medicina siamo passati da 9.000 a 15.000 posti in 4 anni, creando una crescita governata e pianificata dei numeri, perché altrimenti non governiamo e rispondiamo a delle emergenze con qualche cosa che poi crea dei problemi sul lungo termine”.

Numeri rivendicati anche dalla stessa ministra che sempre a Skuola.net aveva ricordato: “Il numero delle immatricolazioni lo abbiamo aumentato. Oggi siamo arrivati a circa 15-16mila posti di Medicina, rispetto ai 9mila di qualche anno fa c’è una bella differenza”.

Mentre gli studenti – oggi l’Udu, l’Unione degli universitari, ha organizzato un presidio di protesta alla Sapienza – si scagliano contro il numero chiuso definendolo illegittimo, e contro “la fallacia dello strumento del test d’accesso”.

E puntano il dito: “Nonostante le leggere modifiche apportate alla struttura dei test – osservano gli studenti – il numero chiuso rimane: un evidente segnale di quanto gli investimenti in istruzione e università e ricerca siano soltanto promesse elettorali e frasi spot. Emblematiche, a tal proposito, le ultime dichiarazioni di Salvini il quale afferma la volonta’ di superare il numero chiuso dall’oggi al domani senza proporre un modello da cui partire, ne’ indicare una programmazione di investimenti strutturali che possano realmente garantire ciò”. Quindi, chiedono un’Università “pubblica, aperta e accessibile a tutte e tutti”.

In effetti, la ministra Messa ha cambiato le modalità dei quiz per andare incontro alle richieste degli studenti, quindi meno domande di varia cultura generale e più quesiti mirati.

Ma da quando esiste il numero chiuso? Fu introdotto per legge, ricorda il sito di Consulcesi, nel 1987 tramite apposito decreto dall’allora ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ortensio Zecchino.

Una svolta non soltanto per Medicina, ma per gran parte delle facoltà a carattere scientifico, che sanciva il principio di relazione tra il numero di studenti e la capacità delle singole strutture di ospitarli, la disponibilità dei professori, la possibilità di svolgere laboratori e lezioni.

Non tutto andò però liscio come doveva – sottolinea ancora Consulcesi – furono numerosi infatti i ricorsi. Tanto che si dovette arrivare al 1999 perché tale decreto ministeriale diventasse legge con l’ok della Corte Costituzionale nel 2013, dopo che il Consiglio di Stato aveva sollevato la questione sulla sua legittimità.

Il tema oggi è ancora più caldo dopo i due anni pandemici che hanno messo in evidenza la mancanza di medici con la necessità, spesso, di dover ricorrere anche a medici già in pensione.

Dopo le prossime elezioni, il 25 settembre, nascerà un nuovo governo e si vedrà se il successore dell’attuale ministra, Maria Cristina Messa, resterà nel solco del numero chiuso e della pianificazione o se ci sarà un ‘liberi tutti’.

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