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Moral distress e infermieri. Il fenomeno al centro della tesi del dottor Niccolò Ceraolo.

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Moral distress: indagine e analisi del fenomeno fra gli Infermieri toscani. Una tesi interessante del dottor Niccolò Ceraolo.

La ricerca effettuata, tratta del Moral Distress (detto anche disagio morale) tra gli infermieri della regione toscana.

Lo studio è stato condotto dal dottor Niccolò Ceraolo, laureatosi presso l’Università degli Studi di Firenze in Infermieristica.

Questo il suo lavoro di tesi.

Il moral distress nell’assistenza infermieristica toscana.

Moral Distress è un termine sempre più familiare e un fenomeno comune nella vita quotidiana di coloro che lavorano nelle professioni sanitarie.

Ho deciso di Affrontare il tema con attenzione alle preoccupazioni etiche e morali quotidiane, che appaiono di routine ma che tuttavia possono mettere alla prova i rapporti tra
colleghi e il benessere psicofisico degli operatori sanitari.

Tra gli studiosi si teme che non affrontare la marea crescente del disagio morale mette a rischio l’integrità
professionale e morale degli operatori sanitari.

Ma cosa è il Moral Distress?

Ci sono state diverse definizioni nel corso degli anni e primo fra tutti fu il filosofo americano Andrew Jameton (1984), definendo il moral distress come:
“Una sensazione dolorosa e/o squilibrio psicologico che si manifesta quando gli infermieri sono consci dell’azione morale più appropriata alla situazione, ma non possono svolgerla a causa di ostacoli istituzionali, quali la mancanza di tempo, mancanza di supporto direttivo, per l’esercizio del potere medico, per limiti dovuti a politiche istituzionali e limiti legali”

Definizione più recente è data dalla Dr.ssa Hanna:
“L’angoscia morale si verifica nel contesto di situazioni che hanno implicazioni morali incorporate al loro interno, dove il fine morale, un diritto intrinseco, è inteso come essere stato minacciato, danneggiato o violato”

I ricercatori continuano a cercare di affinare la definizione e la piena comprensione del concetto rimane “in costruzione”.

Una cosa è certa: il sentimento provato può essere di frustrazione, rabbia e ansia di fronte a ostacoli e conflitti di ogni tipo.

La pratica infermieristica nelle unità di terapia intensiva è stata fondamentale per l’identificazione e lo studio precoce del fenomeno del disagio morale.

Negli ultimi due decenni i ricercatori hanno documentato il
disagio morale in una moltitudine di contesti di pratica.

Gli studi incentrati sugli infermieri descrivono il disagio morale in terapia intensiva, unità medico-chirurgiche, reparti di emergenza.

Il lavoro si basa su un’indagine conoscitiva attraverso la quale si vogliono ricavare informazioni sulle modalità e le cause del problema tra infermieri che lavorano nei contesti ospedalieri e domiciliari della regione toscana, in particolare esplorando la frequenza del fenomeno.

Lo studio: gli strumenti e la somministrazione.

Il questionario è stato somministrato a 50 colleghi della toscana e si basa sulla Moral Distress Scale, ideata dalla dottoressa Mary C Corley, ed è stato adatto al contesto italiano: contiene 23 domande (di cui 5 socio anagrafiche) e utilizza una scala Likert come risposta ai quesiti (da 0 Mai a 4 Sempre).

Per comodità si suddividono le domande nelle 3 aree di:

  1. Organizzazione;
  2. Disposizioni mediche;
  3. Fattori individuali.

Il primo punto si riferisce alle risorse umane e tecnologiche, ai protocolli e percorsi clinico assistenziali, i quali possono influenzare il professionista.

Il secondo punto tratta dei momenti in cui l’attività infermieristica è dettata da direttive mediche, di conseguenza risulta fortemente condizionata fai valori di quest’ultimo professionista.

Infine il terzo punto riporta le situazioni in cui l’infermiere agisce in base ai propri valori etici, senza essere condizionato da fattori esterni, seguendo i valori personali e aziendali di comportamento.

Organizzazione

Quante volte ha lavorato con un carico di lavoro così eccessivo da risultare pericoloso?

E’ questa la domanda dell’area organizzativa con maggiore interesse e con una discreta dispersione dei risultati, in quanto Il 58% dei candidati che afferma di aver lavorato spesso o sempre con un carico di lavoro eccessivo e un 42 % di aver lavorato in queste condizioni a volte o raramente.

Disposizioni Mediche.

Quante volte ha eseguito azioni salvavita pensando che possano solo prolungare gli ultimi istanti di vita?

Domanda molto profonda che ha ottenuto risultati altrettanto interessanti: il 48% degli infermieri dichiara di aver eseguito azioni salvavita che ritengono prolunghino gli ultimi istanti di vita spesso o sempre. Il 44% degli infermieri afferma però di averle eseguite raramente o qualche volta, mentre il 8% afferma di non
averlo mai fatto.

Fattori Individuali.

Quante volte ha dato falsa speranza al paziente o alla sua famiglia? Ne è mai stato testimone?

Concludo con una curiosa antitesi tra i due quesiti: Il 66% degli infermieri afferma di averlo fatto raramente o qualche volta e il 18% afferma di non averlo mai fatto.

E’ interessante come l’86% sia stato testimone di questo avvenimento contro il 14% che non lo sono stati.

Conclusioni.

Si può affermare senza dubbio che il moral distress è espressione di attenzione sensibile, disponibilità cognitiva ed emotiva e sinonimo di preoccupazione per le persone che ricorrono alle cure sanitarie. Il problema c’è e non solo nelle aree di alta intensità ma anche nei contesti di bassa intensità.

Il moral distress è trasversale tra gli infermieri delle diverse aree d’intensità studiate e ciò è confermato dalla molteplicità delle situazioni nelle diverse realtà professionali e quelle inerenti alla propria esperienza lavorativa.

Quali sono allora dei possibili percorsi perché ciò che è una buona abitudine, una sensibilità etica, un potenziale positivo, non si traduca in moral distress?

Innanzitutto è necessario imparare a gestire la propria vulnerabilità per non mettere a rischio la possibilità stessa della cura, facendo attenzione però a non incorrere nella situazione opposta di eccessiva distanza che possa impoverire la relazione e dunque la possibilità di cura.

Durante gli anni di attività lavorativa dovrebbero essere organizzati laboratori di riflessività sulla vita emozionale, in cui dare spazio alla rielaborazione delle emozioni connesse alla cura, affinché maturi anche una competenza emotiva sia rispetto al paziente sia rispetto
a se stessi.

Inoltre fare in modo che l’infermiere prenda decisioni secondo “scienza e coscienza”, lavorando come team multidisciplinare con gli altri professionisti e così facendo andrà molto meno in crisi rispetto a quando è costretto da una decisione altrui.

Infine, sempre più frequentemente nella relazione infermiere-paziente si tende a vedere chi riceve le cure come
il solo soggetto vulnerabile: non dimentichiamoci che anche chi ha cura è vulnerabile e possiede un coinvolgimento emotivo che può esporre noi professionisti a una situazione di analoga vulnerabilità.

Dott. Marco Tapinassi
Dott. Marco Tapinassi
Vice-Direttore e Giornalista iscritto all'albo. Collaboro con diverse testate e quotidiani online ed ho all'attivo oltre 5000 articoli pubblicati. Studio la lingua albanese, sono un divoratore di serie tv e amo il cinema. Non perdo nemmeno un tè con il mio bianconiglio.
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