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È il momento dell’Infermiere di famiglia e comunità: la formazione specialistica è indispensabile.

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Un ruolo sempre più centrale nella sanità italiana.

L’Infermiere di famiglia e comunità sta diventando una figura chiave per la continuità assistenziale e la presa in carico globale della persona, come sottolineato da Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI, durante il recente workshop promosso dal Ministero della Salute. Oggi, questa professione conta 461.000 iscritti all’Albo nazionale, con un’età media di 46,5 anni e una netta prevalenza femminile. Nonostante la relativa “giovinezza” rispetto alla professione medica, anche il comparto infermieristico si trova ad affrontare la cosiddetta gobba pensionistica, che evidenzia una carenza crescente di personale negli anni a venire.

BarbaraMangiacavalli È il momento dell’Infermiere di famiglia e comunità: la formazione specialistica è indispensabile.

L’evoluzione del ruolo: dalla chiamata in ospedale all’assistenza domiciliare.

L’infermiere di famiglia e comunità rappresenta un cambio di paradigma nell’assistenza sanitaria: non è più il paziente a recarsi in ospedale, ma è l’infermiere che entra nelle case, affrontando situazioni sempre diverse e spesso complesse. Questo modello, già recepito da tutte le Regioni italiane, si sta diffondendo grazie al lavoro degli Ordini provinciali e delle Università, e riscuote particolare interesse tra i colleghi più giovani.

La necessità di una formazione specialistica.

Per rispondere alle nuove sfide, è fondamentale attivare percorsi di formazione specialistica. La formazione universitaria triennale fornisce una solida base generalista, ma non è più sufficiente: occorrono lauree magistrali e master che permettano di acquisire competenze avanzate e specialistiche. In quest’ottica, la FNOPI, in sinergia con i Ministeri competenti, ha inserito “Cure primarie” e “Sanità pubblica” tra le nuove lauree magistrali a indirizzo clinico, auspicando che vengano presto recepite dal Consiglio superiore di sanità.

Modelli organizzativi e peculiarità regionali.

Il primo Rapporto FNOPI Sant’Anna evidenzia come la presenza dell’infermiere di famiglia e comunità sia ancora “a macchia di leopardo” sul territorio nazionale. Dove il modello è stato implementato con successo, la sua centralità è evidente, ma è necessario diversificare i modelli organizzativi e adattarli alle specificità regionali. Solo così sarà possibile garantire un’assistenza efficace e capillare.

L’importanza di dati certi e trasparenza.

Mangiacavalli ha sottolineato l’importanza di basarsi su fonti certe, come la Ragioneria dello Stato, il Ministero della Salute e la stessa FNOPI, che da quest’anno mette a disposizione il Rapporto per istituzioni e opinione pubblica. La trasparenza e la condivisione dei dati sono fondamentali per programmare il futuro della professione e rispondere alle esigenze della popolazione.

L’Infermiere di famiglia e comunità è una figura sempre più richiesta e centrale per la sanità del futuro. Per valorizzarne il ruolo e rispondere alle nuove sfide, è indispensabile investire in formazione specialistica, diversificare i modelli organizzativi e puntare su dati certi per una programmazione efficace. Questi elementi sono la chiave per garantire la qualità e la continuità dell’assistenza sul territorio italiano.

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